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Pare proprio che non se ne possa fare a meno: è sempre lui, il condannato in via definitiva, il novello statista fautore e principale attore del governo delle larghe intese, l’agnello sacrificale vittima dell’odio e dell’invidia di una controparte incapace di competere sul terreno dei contenuti e, diciamo, costretta a rivolgersi a terzi togati nel tentativo di abbatterlo, il leader amato dai suoi elettori ma temuto dai suoi eletti in Parlamento, l’uomo dalle mille cadute ed altrettante risalite.

Pensatela come volete, siate di destra o di sinistra, di centro o protestanti grillini, ma resta il fatto, paradossale soprattutto per i suoi antagonisti, che il dominus della scena politica nazionale rimane sempre lui, Silvio Berlusconi. E lo sarà ancora per molto, nonostante le condanne ed i suoi più intimi desideri, alcuni apertamente manifestati ed altri che non può dichiarare per ovvie questioni di convenienza, pubblica e privata.

D’altronde, a settantacinque anni suonati da un pezzo, il Cavaliere avrebbe tutto il diritto di godersi le sue ricchezze, le sue passioni, i suoi affetti e la sua giovane fidanzata: chi potrebbe biasimarlo se dovesse decidere di abbandonare la scena e ritirarsi? Nessuno, se sano di mente …

Tuttavia, gli impediscono di vivere una serena terza età. E non mi riferisco alle sentenze di una magistratura che pare usi la lente di ingrandimento su alcune questioni mentre è miope su altre – atteggiamento peraltro già visto fin dai tempi di Mani Pulite – e nemmeno alle azioni contraddittorie di una sinistra lacerata su tutto ma unita solo sul fronte dell’antiberlusconismo, quindi condannata a perdere.

La prima lo ha di fatto consacrato martire, sulla seconda è meglio stendere un velo pietoso per non infierire sul moribondo, al cui capezzale hanno persino rifiutato il soccorso di un medico toscano che aveva proposto cure innovative ma che rischiano oggi di trasformarsi in vecchie e superate terapie, inefficaci per superare una malattia che pare essere congenita.

Come si è rivelato dall’esito delle ultime elezioni, con tutte le conseguenze negative che oggi siamo costretti a vivere come Paese e come cittadini ed imprese, la questione di fondo non è la figura ingombrante di Silvio Berlusconi, ma l’assenza nel centrodestra di un leader che possa catalizzare il consenso della maggioranza degli italiani con il carisma e la capacità comunicativa del Cavaliere.

Una tale figura non c’è nel parco faunistico di molti che, senza la presenza del capo, sarebbero solo degli sbandati e disperati esponenti del suo partito (ex partito?) e, purtroppo, al momento non se ne vedono in quei movimenti che per affinità di contenuti e visione potrebbero essergli vicini, vittime peraltro di personalismi e del vizio di guardare la situazione con lo specchietto retrovisore, andando così a sbattere contro un realtà fatta di cocenti delusioni nell’urna.

Ciò che serve oggi nell’area che per semplicità di linguaggio chiamiamo centrodestra, è concorrere con l’anziano leader di Arcore per ricostruirla. Al contrario, competere con Berlusconi sarebbe un ennesimo errore che porterebbe al caos, un vuoto che sarebbe riempito dagli estremi, miracolati parlamentari intenti a far chiacchiere e proteste ma inefficaci nella sostanza di una adeguata azione di governo.

Chi ne avrà la consapevolezza e saprà porsi come interlocutore e non competitore di Berlusconi avrà modo di raccogliere le istanze dei suoi elettori e contribuire a realizzare un soggetto politico nuovo, non viziato da lotte intestine, consapevole degli obbiettivi e deciso sulle azioni da fare, potrà così ambire al suo consenso e candidarsi alla guida del Paese dopo la parentesi dell’attuale, frutto di un’anomala maggioranza coatta. Se c’è, si faccia avanti ed “usi” lo strumento Berlusconi, aiutandolo a godersi serenamente ciò che gli resta da vivere.

Il prossimo leader del centrodestra deve concorrere, e non competere, con Berlusconi

Pare proprio che non se ne possa fare a meno: è sempre lui, il condannato in via definitiva, il novello statista fautore e principale attore del governo delle larghe intese, l’agnello sacrificale vittima dell’odio e dell’invidia di una controparte incapace di competere sul terreno dei contenuti e, diciamo, costretta a rivolgersi a terzi togati nel tentativo di abbatterlo, il leader…

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