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Una direzione di appena un’ora scandita dalla relazione di Guglielmo Epifani e dall’intervento di Enrico Letta. Terminata senza dibattito con un’unica novità. È stata programmata per il 24 novembre l’elezione del futuro segretario del Partito democratico. L’ha annunciato Marina Sereni alla fine dell’incontro incalzata dai parlamentari vicini a Matteo Renzi che invocavano a gran voce una data certa per il Congresso. Giorno che Epifani aveva dimenticato di nominare limitandosi a indicare nell’Assemblea nazionale del 20 e 21 settembre l’avvio delle assise del Pd. Segretario dunque, e non contemporaneamente candidato premier dei progressisti, come vorrebbe da sempre il primo cittadino di Firenze, il vero sconfitto di un incontro che ha rinviato all’inizio dell’autunno la discussione, il confronto e le scelte sui temi più aperti e incandescenti: le regole delle primarie, l’ampiezza della platea dei partecipanti, il rapporto con la personalità che correrà per Palazzo Chigi.

Il segretario schiera il Pd a difesa del governo Letta 

Un completo silenzio è calato anche sugli esponenti democrat dissidenti, da Laura Puppato e Pippo Civati a Sandro Gozi e Sandra Zampa, che avevano preannunciato un documento di forte critica alla prosecuzione dell’esperienza del governo di larghe intese con il Cavaliere condannato per frode fiscale. È Guglielmo Epifani a ricompattare il Nazareno a difesa dell’esecutivo guidato da Enrico Letta, marcando una netta differenza rispetto all’appoggio condizionato alla realizzazione delle riforme strutturali manifestato da Renzi e ribadendo con forza le ragioni della sua adesione verso un lavoro che “può e deve continuare senza fibrillazioni né logoramenti, con lo spirito di servizio al paese che è la sua cifra più vera”. Governo di servizio, tiene a ripetere il segretario del Pd, non di pacificazione come amano definirlo Silvio Berlusconi e il centro-destra. A conferma della volontà di recuperare il ruolo di protagonista e di traino dell’azione di Palazzo Chigi troppo a lungo abbandonato al Cavaliere. “Perché dobbiamo essere pronti a tutto, senza  subordinate né timidezze”, annuncia l’ex leader della Cgil sfidando il Pdl sui suoi storici cavalli di battaglia. Condividendo le obiezioni e le critiche espresse dal responsabile del Tesoro Fabrizio Saccomanni sugli effetti regressivi dell’abrogazione dell’Imu sulla prima casa, Epifani esorta a “ricercare risposte logiche e compatibili sull’imposta patrimoniale immobiliare così come sull’Iva, legando gli interventi fiscali al rilancio di una politica industriale assente da decenni”.

E l’offensiva verso gli alleati del centro-destra si spinge sul terreno delle polemiche provocate dalla condanna della Suprema Corte: “Abbiamo aspettato la sentenza senza speculazioni di parte. Abbiamo detto poi con onestà che i verdetti si rispettano e si applicano. Non si può contrapporre la legittimazione data dalla rappresentanza politica al principio di legalità, e così superare il rispetto che si deve alla divisione dei poteri”.

Rinvii, silenzi e reticenze sul Congresso

Ma è su tempi, modalità, regole delle assise congressuali che dovrebbero sfociare nella scelta del nuovo leader democrat che il segretario incontra le critiche più accese. Annunciando un appuntamento “in grado di aiutare a ridefinire un progetto e una speranza per un paese che li ha perduti”, Epifani fissa il suo avvio formale il 20-21 settembre con l’Assemblea nazionale, incaricata di “discutere le proposte di modifica delle regole frutto dello sforzo della Commissione di garanzia”. Riferimento eloquente alla volontà, ampiamente condivisa dal gruppo dirigente legato a Pier Luigi Bersani, Dario Franceschini, Beppe Fioroni, Rosy Bindi e Enrico Letta, di archiviare le primarie aperte agli oltre 3 milioni di elettori celebrate nel novembre 2012. E di restringere il più possibile alla base politica e militante del Nazareno la legittimazione del prossimo leader. Altrettanto evidente e inevitabile la durissima reazione dei parlamentari vicini a Renzi presenti in sala, che denunciano per bocca del senatore Andrea Marcucci come “una montagna di riunioni e commissioni abbia partorito un topolino, la data dell’Assemblea nazionale, facendo calare il silenzio sul momento culminante del congresso”. È solo a quel punto che dal palco viene ufficializzata la giornata del 24 novembre come atto finale delle assise.

Il vincitore della riunione del Nazareno

A uscire rafforzato dalla direzione del Pd e dalla relazione del segretario è senza dubbio il capo del governo. Il quale ne trae gli stimoli per rilanciare l’azione di “un esecutivo più che mai unico orizzonte nella fase in corso”. Tanto più necessario, rimarca Enrico Letta, alla luce dei “timidi segnali di ripresa economica nella Ue e in Italia, che richiedono politiche determinate per evitare lo scenario di una crescita senza lavoro ed equilibrio”. E le condizioni per incidere in profondità sul tessuto produttivo dipendono dall’“agibilità politica fornita soprattutto dal Partito democratico, perché se viene meno la sua unità rischia di crollare l’intero sistema”. Le alternative all’attuale governo? Il premier ne è certo: “Sarebbero immediate elezioni che con la legge elettorale vigente porterebbero probabilmente a nuove larghe intese”.

Chi vince e chi perde alla Direzione Pd

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