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L’Unione Europea ha recentemente pubblicato delle linee guida in base alle quali si richiede ai 28 stati membri dell’Unione di interrompere i finanziamenti diretti a compagnie, università e altri enti israeliani che operano nei territori occupati dal 1967 sulle alture del Golan, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.

Sono circa 500.000 gli ebrei che vivono in più di 100 insediamenti costruiti in questi territori. Secondo il diritto internazionale gli insediamenti sono considerati illegali, ma Israele non condivide tale visione. Il processo di pace per la formazione di due stati indipendenti e sovrani, interrotto nel 2010, trova un grande ostacolo nell’attività israeliana portata avanti sui territori occupati. Per i palestinesi l’interruzione degli insediamenti costituisce una precondizione necessaria al dialogo, mentre Israele si dice pronta a proseguire con il processo di pace senza imposizione di condizioni.

La decisione dell’UE deriva dal Report Gerusalemme 2012, redatto a gennaio 2013 dai capi missione dell’UE presso l’Autorità Palestinese. Tra gli oviettivi del report: sensibilizzare l’UE ad intraprendere misure economiche volte alla interruzione degli insediamenti israeliani, tra cui esclusione dai programmi di finanziamento, compresi i fondi di ricerca, educazione e cooperazione tecnologica; aumentare la conoscenza dei rischi finanziari e legali correlati all’acquisto di proprietà o alla fornitura di servizi nei territori occupati.

Il ciclo finanziario europeo settennale sul quale avrà effetto la decisione UE è quello che prenderà avvio a gennaio 2014. Un portavoce della delegazione europea a Tel Aviv ha specificato all’agenzia Associated Press che le limitazioni imposte non influiranno sulle attività del settore privato.

Il secondo tempo di questa partita è entrato nella sua fase ufficiale. È stato accolto con grande entusiasmo sia dall’Autorità Palestinese che da Hamas. Il 17 luglio 2013 il Ministro degli Esteri palestinese, Riyad al-Malky, ha lodato l’iniziativa, ritenuta da Hanan Asharawi una “decisione politica effettiva che costituisce un cambiamento di marcia qualitativo che avrà un impatto positivo sul processo di pace”.

Come prevedibile la risposta israeliana è stata molto critica. Il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, considera tale atto come una presa di posizione, che rende l’Unione Europea un soggetto inadatto a contribuire al processo di pace arabo-israeliano. Il Ministro delle comunicazioni israeliano, Gilan Erdan, afferma che “niente di buono verrà fuori da questa decisione, certamente non riguardo al negoziato con i palestinesi, i quali useranno l’appoggio europeo come un pretesto per non tornare al tavolo negoziale”. Tzipi Livni, Ministro della giustizia, riconosce l’avvertimento dato dall’UE e avverte che si può trattare di un primo passo verso l’imposizione di sanzioni commerciali sui prodotti israeliani nel caso in cui il processo di pace non dovesse riprendere.

Nella valutazione dello scenario si inserisce anche l’attività del Segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry, attualmente in azione per rilanciare il processo di pace arabo-israeliano. Si legge sulle pagine di Haaretz che venerdì 19 luglio 2013 John Kerry potrebbe comunicare ufficialmente la riattivazione del processo. In tal senso nessuna voce ufficiale si è ancora espressa. È però chiaro che i principali attori coinvolti nel processo di pace siano tornati attivamente a valutare la questione e che nelle prossime settimane ci potranno essere evoluzioni di rilievo.

Le decisioni dell’Ue che influiscono sulla questione arabo-israeliana

L’Unione Europea ha recentemente pubblicato delle linee guida in base alle quali si richiede ai 28 stati membri dell’Unione di interrompere i finanziamenti diretti a compagnie, università e altri enti israeliani che operano nei territori occupati dal 1967 sulle alture del Golan, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Sono circa 500.000 gli ebrei che vivono in più di 100 insediamenti…

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