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I segnali erano già arrivati questa estate quando, come raccontato da Formiche.net, erano arrivate le prime fughe degli investitori: 80 miliardi di yuan drenati dalla Cina nel solo mese di agosto, sull’onda emotiva di una crescente sfiducia verso il Dragone. Un Pil che non cresce come dovrebbe, un settore immobiliare tenuto in vita più artificialmente che da una sana economia di mercato e un debito diventato troppo tossico, unitamente alle tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti e al sostanziale fallimento della Via della Seta, hanno messo una certa paura agli investitori.

E ora, nei giorni in cui si consuma un altro flop in Borsa di una quotazione targata Alibaba, ecco arrivare un conto, di quelli amari. Fatto per l’occasione dal Financial Times. Oltre tre quarti dei fondi stranieri investiti nel mercato azionario cinese nei primi sette mesi dell’anno si sono dileguati. Gli investitori globali per la precisione hanno fatto uscire oltre 25 miliardi di dollari nonostante i tentativi dello stesso governo cinese di ristabilire la fiducia nella seconda economia mondiale. Scendendo nel dettaglio, le vendite consistenti degli ultimi mesi portano l’incidenza degli investitori offshore al livello più basso dal 2015 nell’ambito del primo anno del programma Stock Connect che lega le piazze cinesi con Hong Kong.

Il fatto è che gli investitori offshore nei primi mesi, puntando sul rimbalzo post pandemico e sull’abbandono della politica zero Covid, hanno investito a un livello record sui mercati cinesi. Ma negli ultimi mesi hanno lasciato le loro posizioni, in particolare preoccupati dalla crisi di liquidità e dai dati della crescita deludenti. Secondo un calcolo del quotidiano britannico, l’inflow di fondi esteri sulle piazze cinesi, dopo aver toccato il picco di 235 miliardi di yuan (32,6 miliardi di dollari) all’inizio di agosto, è sceso del 77% ad appena 54,7 miliardi di yuan (7,6 miliardi di dollari). Questo ha portato l’indice CSI 300, che raggruppa le piazze di Shanghai e Shenzhen, a perdere l`11% in termini di dollari quest’anno, mentre quelle di Giappone, Corea del Sud e India crescevano tra l’8 e il 10%.

L’economista Michael Pettis, via X ha dato la sua lettura dei fatti. “La Pboc ha avvertito più volte del rischio che gli afflussi e i deflussi di capitali cinesi siano dominati da strategie altamente pro-cicliche che rafforzano principalmente la volatilità del mercato interno, ma sembra che sia proprio quello che sta accadendo. Questo non ha importanza per il momento, è vero, perché il capitale straniero rappresenta una parte così piccola del mercato, ma significa che i flussi di investimenti esteri (almeno in parte costituiti da denaro cinese detenuto all’estero) non giovano al funzionamento dei mercati azionari nazionali”. Tradotto, per il Dragone è un segnale da non sottovalutare.

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Dopo i primi, preoccupanti, segnali della scorsa estate, ecco il dato che deve far preoccupare il partito. Nei primi sette mesi dell’anno oltre tre quarti dei fondi stranieri si sono dileguati, abbandonando le piazze cinesi

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