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Il succo di questi giorni è che mentre Silvio Berlusconi sosteneva un governo di pacificazione, gli ambienti prevalenti del Tribunale di Milano sono riusciti a far passare l’idea che bisogna e si possa eliminarlo dalla scena politica. Chi in Cassazione cercava di trovare spazi per non tramutare vicende giudiziarie in catastrofi politiche, è stato messo con le spalle al muro dalle “indiscrezioni pilotate” del Corriere della Sera, quotidiano che vuole interpretare l’opera del Quirinale ma non può dire no agli amici togati decisivi nella partita sulla sua proprietà.

Al di là di chi ha ragione in punto di diritto, si tratta di prendere atto che ormai in diversi casi specifici la magistratura è riuscita a non farsi “credere” da parte rilevante del popolo italiano provocando così un effetto autodeligittimante non semplice da riassorbire. In vicende di “forma” come quelle giudiziarie contano molto le apparenze e queste sono state stuprate con uno stile guerrigliero da tanti settori togati (intimidendo così la più ampia corporazione). Il guasto del sistema giustizia è profondo e non riguarda solo Berlusconi: pensate a Ottaviano Del Turco (il maestro e protettore di Guglielmo Epifani), pensate alle dichiarazioni di Sergio Marchionne, ai casi dell’Ilva, agli scontri tra Luigi De Magistris e i suoi ex colleghi campani, alla vicenda kazaka ma anche a tanti processi penali e civili.

Questo è il quadro attuale, assai poco confortante, aggravato dal contesto internazionale con i tedeschi che puntano a governi italiani deboli per aumentare la propria presa sull’Europa, e gli americani che dopo avere allegramente destabilizzato il Mediterraneo ora non sanno bene come tenerne insieme i cocci.

I berlusconiani in questa situazione si trovano in grandi difficoltà: se stanno quieti arriveranno prima la sentenza sul Lodo Mondadori (un po’ troppo avidamente auspicata da Ezio Mauro), poi quella sull’insensato caso Ruby e così via. Non mi sembra che il Quirinale e tanto meno il governo Letta siano in grado di intervenire (politicamente) su casi simili. I berlusconiani, se vanno allo scontro frontale (possibile orientamento che traspare da alcuni attacchi scomposti alla Cassazione o da poco meditate richieste di grazia) si imbatteranno in un arco di forze interne capaci di resistere sia pure al prezzo di disgregare ulteriormente la società e la politica nazionali, e soprattutto tanti ambienti stranieri assai influenti non solo non condizionabili ma (sia pur molto miopemente perché scatenare il caos nella nostra Penisola significa aggravare tutti i problemi dell’Europa e del Mediterraneo) interessati ad alcuni aspetti “materiali” e comunque non molto preoccupati di destabilizzarci.

Oggi in un Paese che si porta dietro dal fascismo un’insofferenza per le soluzioni in qualsiasi modo autoritarie e che teme un potere “pubblico” spesso prepotente, la maggioranza dell’opinione pubblica è momentaneamente per Berlusconi. Ma dopo il fatale 2011 (le tenaglie fiscali tremontiane, il caso Ruby e quello del figlio di Umberto Bossi) quelli pronti a “scendere in piazza” non sono sufficienti a sfondare rapidamente (come al Cairo, per dire) e alla fine sarebbero perdenti contro l’articolato schieramento interno e straniero che contrasterebbe in mille modi (dimissioni di Giorgio Napolitano, non scioglimento delle Camere, aumenti improvvisi dello spread) un attacco a fondo berlusconiano. D’altra parte va tenuto conto che – si pensi al popolo cileno leale con il governo Allende contro i carabineros di Augusto Pinochet o ai Fratelli musulmani oggi in Egitto – non sempre le risposte di chi si sente offeso nei propri diritti (e si considera senza alternative) sono perfettamente razionali.

Non sarebbe male per i berlusconiani usare l’attuale momentaneo e parziale favore popolare per tentare soluzioni politiche: alternando la necessaria (chi si fa pecora – particolarmente in una fase come l’attuale – lupo se la mangia) pressione, per esempio sostenendo i referendum pannelliani, a proposte realistiche. È uno sbocco assai difficile ma non impossibile ma che non dipende però solo dalla compostezza dei berlusconiani: anche il centro e la sinistra – non storditi o miserevoli – devono rispondere (certo non con le dichiarazioni vigliacchette degli Epifani) a un’inquietudine assai reale e ampia.

Per chiedere ragionevolezza bisogna offrire qualche risposta concreta ai “casi giudiziari” in corso (ci vuole fantasia: la “grande politica” della Prima repubblica sapeva inventarsi soluzioni in casi simili) non delegittimando ulteriormente la magistratura (che pure in diversi casi “se la cerca”) ma rispondendo a un senso di persecuzione assai concreto e diffuso, bisogna, poi, rilanciare rapidamente il piano di emergenza che corrisponde alle difficoltà in corso (a mio avviso la principale leva su cui puntare è il patrimonio e, via questo, il taglio del debito) e infine affrettare l’indispensabile riforma dello Stato (compresa la giustizia) magari affidandosi a referendum indicativi (come quello su monarchia-repubblica) sui temi non del tutto scioglibili politicamente (tipo presidenzialismo-premierato forte o la separazione delle carriere delle toghe).

Non è facile essere ottimisti: le vicende italiane del ‘500 ci insegnano che un grande popolo disgregato può anche suicidarsi per qualche secolo.

Il centrodestra risponda ai casi giudiziari con soluzioni politiche

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