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Non ci sono solo i flussi migratori da concordare con l’Ue o gli stretti spazi di manovra per la legge di bilancio all’attenzione del governo, mentre scocca l’inizio del secondo anno di vita dell’esecutivo, ma due capisaldi del programma con cui Giorgia Meloni ha vinto le elezioni: presidenzialismo e fisco.

Ovvero due spunti riformatori invocati per anni, trasversalmente, mai tradotti in fatti, e che rappresentano una chiara occasione modernizzatrice i cui frutti positivi potranno essere colti per i prossimi anni. Emerge, in sostanza, la fase progettuale che è alla base di un’azione politica incisiva.

Il premier lo ha esplicitato in occasione della giornata conclusiva del Festival delle Regioni e delle Province autonome, organizzato a Torino, in cui, dopo aver ammesso di sentire “il peso della responsabilità che si porta sulla spalle nel guidare una nazione come Italia”, ha fatto un excursus dei prossimi passi del governo: il rapporto con l’Africa, la sinergia nel nome dell’approvvigionamento energetico (e, negli auspici della premier, anche nella gestione dei migranti), l’autonomia ma con una punta di unitarietà e le riforme per il presidenzialismo perché “quando non si ha stabilità, non si riesce a lavorare su quello che non torna immediatamente in termini di consenso”.

Passaggio che, negli stessi minuti, veniva sottolineato da Matteo Renzi in Senato in occasione del ricordo del Presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, quando osservava che Napolitano credeva nella giustizia giusta e nel processo riformatore della costituzione ormai irrinunciabile. Significa che, al di là delle altre emergenze che restano gravose e ben presenti dinanzi all’esecutivo, il dossier riforme forse non conquista le prime pagine dei giornali ma è oggettivamente un punto di partenza nevralgico per disegnare la nuova architettura decisionale del Paese.

Da mesi il premier ha spiegato di voler interrompere “le legislature ostaggio di chi cambia casacca, io voglio fare una riforma ampiamente condivisa, ma la faccio. E la faccio perché ho avuto il mandato dagli italiani e tengo fede a quel mandato”. Una riforma per il futuro, non per governo ha spiegato il capogruppo di FdI, Lucio Malan, durante la presentazione della ricerca “Il primo anno di legislatura” del centro studi Cuiprodest, mettendo l’accento sull’elemento della continuità dell’attività legislativa. “Questa riforma è fatta per il futuro, nell’interesse dell’Italia”.

Accanto a questa, ecco la riforma fiscale che dà mandato al governo per la revisione del sistema tributario per lavoratori, cittadini e imprese. Sono questi due interventi strutturali, per il medio-lungo periodo e non tarati sulle prossime elezioni così come universalmente si chiedeva al governo, a cui sommare la riforma della giustizia, con la separazione delle carriere.

Presidenzialismo e fisco, così inizia il secondo anno di governo Meloni

Al di là delle altre emergenze, il dossier riforme forse non conquista le prime pagine dei giornali ma è oggettivamente un punto di partenza strategico per disegnare la nuova infrastruttura decisionale del Paese

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