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Per una strana coincidenza della storia due eventi distanti tra loro, sia temporalmente sia strategicamente, hanno determinato il corso della storia in Medio Oriente: il 19 agosto 1953 un colpo di stato organizzato dai servizi segreti americani e britannici metteva fine al governo democratico e progressista di Mohammad Mosaddegh in Iran; il 21 agosto 2013 l’uso indiscriminato di armi chimiche in Siria ha involontariamente provocato un cambio di passo nelle relazioni russo-americane in Medio Oriente. In quest’intervallo di 60 anni, con l’ampio coinvolgimento delle principali potenze, il Medio Oriente è stato polarizzato da un’enorme serie di mostruosità ideologiche, divisioni, sopraffazioni, occupazioni, guerre e violazioni di ogni tipo di diritti fondamentali. Mentre si era rassegnatamente orientati all’ennesima guerra, sulla via di Damasco l’eccezionalismo si è trasformato in pragmatismo razionale. Alla guerra è stata preferita la strada di una profonda revisione dei sentimenti che hanno infestato il Medio Oriente nei passati 60 anni.

Complice l’alta qualità della diplomazia russa (ma anche quella italiana ha fatto la sua parte) e l’esito molto fortunato delle elezioni iraniane che hanno portato Rouhani alla presidenza, le logiche che hanno inquinato le relazioni mediorientali sono state fermate. Pur senza ammetterlo apertamente, grazie al vuoto lasciato dal declino delle ex potenze coloniali – Francia e Regno Unito – e dall’evanescenza dell’Unione Europea sullo scacchiere geopolitico, appare evidente che si stia ribaltando allo stesso tempo sia la dottrina Eisenhower sia quella sovietica (finisce la Guerra Fredda anche in Medio Oriente). Con anticipazione sugli eventi odierni, la Chiesa cattolica aveva aperto la strada con le storiche visite dei Papi alle moschee, al Libano, e da ultimo con l’elezione di Papa Francesco che ha ravvivato il fuoco dell’umanesimo e dell’armonia universale. A suo modo anche l’approccio cinese alla mondializzazione, al di la degli evidenti utilitarismi, richiede a termine la rinascita di un’etica musulmana alla modernità. È ancora presto per essere certi che il processo vada a buon fine, ma esso è iniziato e già produce effetti rivoluzionari in tutta la regione.

Mentre il messaggio immanente ed esoterico di giustizia sciita, nonostante alcune derive radicali, potrebbe trovare punti di contatto con le altre religioni monoteiste e con i percorsi etici dell’Oriente, l’Islam sunnita ha subito notevoli derive estremiste che si sono di fatto separate dall’iniziale atteggiamento scolastico proponendo anacronistici ideali universalistici di purezza assoluta. Finanche lo stato guardiano della sacralità musulmana non offre una situazione adatta al XXI secolo. Di questa situazione si deve far carico proprio quell’Occidente che per diversi opportunismi ha irresponsabilmente, e forse involontariamente, contribuito a radicalizzare quelle società. Dal punto di vista psico-culturale molta responsabilità ha quella corrente di pensiero europea, e poi americana, nota come “orientalismo”…

Ma il realismo delle relazioni internazionali richiama alla necessità di agire, possibilmente in modo strategico, per affrontare le situazioni del momento. È con questo approccio che non sarebbe impossibile intravedere una rivoluzione del contesto mediorientale. In essa, come dicevamo all’inizio, ha un peso imprescindibile l’Iran (che non va dimenticato essere l’erede dell’antico impero persiano). Nell’apertura di dialogo tra Russia-USA-Iran è possibile immaginare che si possano raggiungere risultati altrimenti insperabili: ad esempio nulla osterebbe a che l’Iran fosse riammesso pienamente, dopo 34 anni, tra le potenze internazionali in cambio dell’abbandono della ricerca di un’autonomia nucleare e della cooperazione alla pacificazione dell’Iraq, della Siria e del Libano (si veda: Us and Iranian realities, by George Friedman, Stratfor). Ad oggi sarebbe utopico immaginare un dialogo israelo-iraniano, ma l’ipotesi non va scartata nel lungo periodo. D’altra parte, per motivi esclusivamente opportunistici e psicotici Israele vive un’innaturale relazione con l’Arabia Saudita (colpo di stato in Egitto e guerra in Siria ne sono gli esempi più immediati; ma non vanno dimenticate altre stranezze nelle situazioni in Libia, Algeria e Mali). Tuttavia, mentre l’Arabia Saudita è vittima inconsapevole della sua ricchezza energetica, Israele è un paese moderno, multietnico e dinamico, con fortissimi collegamenti all’Italia (ad esempio nelle telecomunicazioni) e all’Unione Europea (ad esempio nel commercio), ed è fondamentalmente partecipe ab origine dell’alveo culturale democratico occidentale.

Per dare un’opportunità agli embrionali sviluppi della rivoluzione mediorientale, oltre alle relazioni bilaterali e alle necessarie aperture diplomatiche, si deve al più presto costruire una specifica piattaforma multilaterale che permetta a tutti gli attori, su un piano di eguaglianza, di partecipare ad un dialogo che costruisca il percorso comune di sicurezza e di sviluppo economico. Le grandi potenze ne possono essere i garanti, anche grazie alla loro potenza economica e militare (che se ben usata è deterrente e quindi sicurizzante). D’altra parte, come fu possibile negli anni ’70 trovare un accordo per la firma del Trattato di Helsinki tra Unione Sovietica e USA, oggi, mutatis mutandis, la mondializzazione crea una cornice ben più pregnante perché ciò accada in Medio Oriente.

In questo contesto l’Italia deve poter ritrovare quelle sue capacità e il ruolo che le competono, in Medio Oriente e in Europa. Come ha detto Barry Pavel, vice presidente e direttore del Centro per la Sicurezza Internazionale “Brent Scowcroft” di Atlantic Council, in una conversazione con Formiche.net, il ruolo del nostro Paese in Medio Oriente e nel dialogo con l’Europa è importantissimo e atteso dagli Stati Uniti d’America. Ma anche la Russia e la Cina sarebbero certamente favorevoli.

L’Italia e il percorso per un nuovo Medio Oriente

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