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L’ormai imminente Assemblea del Partito Democratico è chiamata a sciogliere due nodi fondamentali.

Non si tratta soltanto di pure e semplici regole statutarie di vita interna di un partito, ma di due questioni di fondo che attengono alla natura stessa del PD, e al suo rapporto con un possibile governo di centrosinistra.
Le due questioni riguardano: a) la coincidenza o meno della carica di segretario del partito con quella di capo di un governo di cui il PD fosse parte integrante; b) la successione temporale della elezione dei dirigenti locali e del segretario nazionale.
Si tratta di questioni che – si può dire – tormentano il Partito Democratico sin dalla sua nascita.

Altro infatti è eleggere un segretario che possa anche essere candidato a Palazzo Chigi, altro eleggere un segretario che deve essere anche capo del governo. Si tratta in questo caso della pura e semplice prosecuzione della “vocazione maggioritaria” di cui aveva parlato Walter Veltroni proprio quando nacque il PD.

La questione di fondo riguarda proprio il significato di questa vocazione: è un fatto naturale per una coalizione di partiti che aspirano ad essere maggioritari nel Paese, o deve essere anche l’obiettivo di un singolo partito, che tende in tal modo ad assorbire persino le proposte identitarie di soggetti minori?

La coincidenza o meno dell’incarico di segretario del partito con quello di capo del governo è una questione politica che tende in qualche misura a contrapporre Matteo Renzi a Gianni Cuperlo.
Non sorprende pertanto che Renzi sia formalmente sostenuto da Veltroni, mentre Cuperlo lo è da D’Alema.

Non è in gioco una contrapposizione puramente nominale, ma l’idea stessa del rapporto tra partito e governo.
Matteo Renzi è infatti vissuto più come aspirante premier elettoralmente legittimato da una platea che va molto oltre gli iscritti democratici. Cuperlo invece è percepito più come custode della identità di un partito di sinistra, che in quanto tale non si pone il traguardo di Palazzo Chigi come naturale prosecuzione della propria candidatura alla guida del Pd.

Anche il fatto che non vi siano all’orizzonte immediato elezioni politiche generali, e ancor più il fatto che a guidare il governo in carica sia oggi un esponente del Pd ufficialmente non candidato alla segreteria, rendono non meno rilevante il dibattito sulla distinzione tra partito e governo. È infatti di tutta evidenza che la coincidenza o meno dei due incarichi richiede per sua stessa natura che si debbano svolgere anche elezioni politiche generali.

Per quel che concerne invece il rapporto tra segreteria nazionale e dirigenze locali del PD, sarà molto significativo stabilire l’ordine temporale delle due elezioni. Infatti, in caso di primarie è decisiva la composizione dei partecipanti al voto, se militanti o anche simpatizzanti.
Si tratta in questo caso di scegliere sostanzialmente tra un’evoluzione per così dire “all’americana”, con il partito partito trasformato in comitato elettorale permanente, e una rinnovamento per così dire “all’europea”, con un partito anche formalmente distinto dal governo del quale esso faccia parte.

Renzi e Cuperlo, tra Nazareno e Palazzo Chigi

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