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Non saranno gli attacchi con i droni a eliminare i gruppi islamisti nelle aree tribali del Pakistan. Possono servire ad arrestare le azioni oltre confine dei miliziani e gli attacchi contro le truppe internazionali e statunitensi in Afghanistan, ma non risolvono alla radice il problema fondamentale, spiega l’ultimo rapporto dell’International Crisis Group: la capacità di riarmarsi e di reclutamento resta intatta.

Quando sono trascorsi nove anni dai primi bombardamenti con i velivoli comandati in remoto nelle Federally Administered Tribal Areas (FATA), continua l’analisi del centro studi con sede a Bruxelles, la segretezza continua a minare gli sforzi per comprendere la legittimità di tale strategia anti-terrorismo e l’impatto sulla popolazione. Dal 2004 gli attacchi sono stati almeno 350 in particolare nelle aree del Waziristan del Nord e del Sud e del Kurram.

Gli attacchi hanno avuto come bersaglio sia leader islamisti legati alla galassia di al Qaida sia comandanti talebani tanto afgani quanto pachistani sia civili innocenti, in gran parte vittime dei bombardamenti che non prendono di mira un obiettivo preciso, ma gruppi di persone il cui comportamento ricorda quello dei terroristi, difficili da individuare con precisione in regioni dove le armi sono normali e l’abbigliamento di un pastore e di un combattente non si discostano più tanto.

Secondo i dati raccolti dal Bureau of investigative journalism, gli attacchi con i droni negli ultimi nove anni hanno fatto tra i 2.540 e i 3.530 morti. Di questi le stime sul numero dei civili morti oscillano tra i 411 e gli 884. Avere informazioni più precise è però impossibile.

Come sottolinea il Crisis Group, sia i militari sia i gruppi armati impediscono l’accesso nelle FATA a ricercatori indipendenti. Le notizie arrivano spesso da fonti anonime militari statunitensi o pachistane e riflettono quindi interessi di parte.

Difficile interpretare i sentimenti della popolazione stretta tra la paura di rappresaglie dei soldati e dei miliziani. “Per le stesse ragioni”, continua l’analisi, “ è difficile capire con precisione l’impatto strategico della campagna. Se da un lato gli attacchi indiscriminati alimentano l’alienazione della simpatie locali, allo stesso tempo la morte di comandanti con esperienza è un duro colpo per i combattenti”. Negli ultimi mesi l’uso dei velivoli comandati a distanza è diventato uno dei principali punti di frizione nei rapporti tra Stati Uniti e Pakistan.

L’atteggiamento di Islamabad è definito ai limiti della schizofrenia. Da un lato i leader pachistani hanno gioco facile a denunciare la violazione della sovranità nazionale. Lo scorso 9 maggio l’Alta corte di Peshawar, due giorni prima delle legislative, dichiarò illegali la campagna Cia con i droni definita una violazione dei diritti umani e chiedendo l’intervento del Consiglio di sicurezza dell’Onu, con un’esortazione al governo a tagliare le relazioni diplomatiche con gli Usa se avessero fatto ricorso al diritto di veto per bloccare un’eventuale risoluzione.

Dall’altro la dirigenza pachistana ha in passato dato il proprio asseso e cooperato ai raid. Lo scorso marzo in un’intervista alla Cnn, l’ex dittatore Pervez Musharraf ammise di aver dato il proprio via libera alle operazioni e lo stesso scrive il rapporto fece nel 2008 e nel 2010 l’allora primo ministro Yousuf Raza Gilani. Sui raid anzi, soprattutto tra settori dell’esercito, si vuole aver un maggior controllo. In particolare sulla scelta dei bersagli per colpire i comandanti sgraditi e proteggere quelle fazioni che godono del benestare di Islamabad. Perciò a esempio la condanna dei gli attacchi contro la rete degli Haqqani, attivi in Afghanistan ma che in Pakistan trovano sostegno, o il plauso invece per i raid contro i nemici interni come Maulvi Dadullah, uno dei leader dei talebani pachistani, ucciso in Afghanistan.

Soluzioni? Il Crisis Group chiede all’amministrazione Obama, sotto la quale l’uso dei droni è diventato consuetudine, maggiore trasparenza oltre il trasferimento della gestione del programma dalla Cia al dipartimento della Difesa, in modo che possa esserci anche un maggior controllo sia del Congresso sia del potere giudiziario, tanto più che la legittimità degli omicidi mirati e dei bombardamenti con i droni è al centro di un dibattito internazionale.

Al Pakistan si chiede invece di abbandonare il sostegno dei gruppi estremisti e di garantire pieni diritti anche alle aree tribali. Nodi conosciuti da tempo, ma sempre irrisolti.

leonardo

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