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“Realizzare la Costituzione, non cambiarla né stravolgerla tramite scorciatoie autoritarie di tipo presidenziale”. All’insegna di uno  slogan suggestivo e di forte richiamo riparte l’offensiva contro il percorso di revisione della Carta del 1948 promossa da una vasta alleanza di gruppi e personalità guidata da Stefano Rodotà, Maurizio Landini, Luigi Ciotti, Lorenza Carlassare, Gustavo Zagrebelsky. Uno schieramento che si va consolidando grazie all’adesione di Sinistra e libertà, di Gino Strada e MicroMega, di Libertà e Giustizia e dei comitati promotori del referendum sull’acqua pubblica della primavera 2011. Ma che non aspira a trasformarsi in partito né in una lista per le prossime elezioni europee.

Gli obiettivi della campagna contro il presidenzialismo

L’iniziativa, che ha già avuto il suo battesimo pubblico in un convegno dal titolo “Non è Cosa vostra” organizzato a Bologna il 2 giugno e che vedrà le prossime tappe a Roma con un’assemblea l’8 settembre e con una manifestazione il 5 ottobre, punta a bloccare e capovolgere la logica ispiratrice del processo di innovazione istituzionale messo in campo dal governo con l’appoggio delle forze di maggioranza. Rifiutando l’introduzione dell’investitura popolare del Capo dello Stato con responsabilità di governo e indirizzo politico, che dai fautori del parlamentarismo è ritenuta un salto nel buio nefasto e deflagrante per la tenuta democratica del Paese. E riaffermando come stella polare, osserva Gustavo Zagrebelsky, “l’obiettivo della Costituzione da difendere non come pezzo di carta ma come strumento vitale per rianimare gli istituti di democrazia, rispetto a una politica sparita come luogo delle scelte alternative visto che tutto sembra già scritto anche nelle formule di governo”.

A illustrare il valore di un’iniziativa “volta a superare il carattere auto-referenziale di una politica priva di respiro che si esaurisce nella quotidianità e a passare dal vuoto allo spazio pubblico” è Stefano Rodotà. Il quale punta a far saltare innanzitutto nel metodo il percorso di revisione costituzionale: “Perché fissando il precedente della deroga alle procedure previste dall’articolo 138 della Carta fondamentale, il disegno di legge costituzionale governativo presenta  sgrammaticature giuridiche e politiche”. Per questo motivo il giurista saluta con entusiasmo l’ostruzionismo promosso in Parlamento dal Movimento Cinque Stelle contro l’approvazione dei provvedimenti dell’esecutivo. Azione che ha impedito il varo del ddl ad agosto e rinviando l’appuntamento decisivo a settembre.

Le proposte in materia elettorale e istituzionale

Negli stessi giorni partirà il dibattito a Montecitorio sul tema che agli occhi del fronte contrario allo “stravolgimento della Costituzione” appare come la priorità. Che non può essere, spiega il candidato del M5S alla Presidenza della Repubblica, “una riforma della giustizia modellata sulle esigenze di regolamento dei conti con la magistratura”. La priorità si chiama riforma elettorale e l’obiettivo è “superare con proposte semplici e condivise la normativa in vigore del tutto incostituzionale oltre che fonte di precarietà istituzionale, visto che venne concepita per creare ingovernabilità cronica”. Per “ricostruire condizioni minime di agibilità politica e restituire ai cittadini-elettori i diritti sottratti dal Porcellum” lo studioso reputa ragionevole adottare le proposte di legge avanzate da Gennaro Migliore a nome del gruppo di Sinistra e libertà e dal parlamentare del Pd Roberto Giachetti per ripristinare con due semplici articoli il Mattarellum.

Se nel terreno del meccanismo di voto il giurista esprime la sua opzione per un sistema prevalentemente maggioritario uninominale, nel campo della forma di governo persiste un’intransigente ostilità a ogni ipotesi presidenziale: “Pensare di trapiantare in Italia modelli istituzionali ancorati a precise esperienze storiche senza tenere conto della nostra realtà porta soltanto danni. L’intera vicenda della seconda Repubblica è la prova del fallimento di un approccio politico puramente ingegneristico”. Un’argomentazione da cui scaturisce l’opposizione radicale al progetto semi-presidenziale di tipo francese, caldeggiato da una parte significativa del Partito democratico come rivela la proposta di legge a firma Vinicio Peluffo e di numerosi parlamentari di diverse aree del Nazareno. Avversione che si estende alla versione nordamericana dell’assetto presidenziale, “poiché gli Stati Uniti presentano un panorama partitico, una società civile attiva e vitale, un bilanciamento dei poteri inesistenti nel nostro paese”. Ogni riforma fondata sull’elezione diretta del Presidente della Repubblica responsabile dell’esecutivo, anche contrapposto a un Congresso forte di un’eguale legittimazione popolare, innescherebbe per Rodotà processi distruttivi.

Nessun intervento sulla forma di governo

Anziché “immaginare scorciatoie autoritarie che riversano sulle istituzioni i nodi dell’impotenza e dello stallo delle forze politiche”, il giurista indica la strada di “limitati interventi di manutenzione della parte organizzativa della Costituzione”. Punti che a suo avviso non toccano le prerogative del governo: “Non è vero che il Presidente del Consiglio sia privo di poteri come ricorda ossessivamente Silvio Berlusconi”. La cui polemica oltranzista contro la sentenza della Corte di Cassazione e le “toghe rosse”, accompagnata dall’invocazione a “stravolgere la Carta del 1948 in materia di giustizia” appare ispirata, secondo il leader della Fiom Maurizio Landini, dalla stessa “mancanza di rispetto delle decisioni dei magistrati da parte della Fiat di Sergio Marchionne”. Ricatti, rimarca il segretario delle tute blu della Cgil, “impensabili per i lavoratori che perdono il posto e per chi le tasse le paga fino all’ultima. Ricatti che pertanto non possono essere accettati”.

Da Rodotà a Landini, ecco l’alleanza contro la riforma della Costituzione

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