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Questione Muos
Tra questi c’è, da qualche mese, il Muos, il sistema di comunicazioni satellitari ad altissima frequenza, un dispositivo di comunicazione militare Nato la cui base a terra di Niscemi, in Sicilia, è divenuta oggetto di confronto politico. Occupazioni di comitati dell’area e polemiche in Consiglio regionale hanno visto il presidente della Regione Crocetta assumere una posizione favorevole agli attivisti “no-Muos”.

Un’antenna inquinante?
Sull’argomento, non dovrebbe essere sfuggito alla rassegna stampa delle due diplomazie un articolo di Anna Chirico sull’ultimo numero di Panorama. Il fatto è che qui si va, finalmente, al nocciolo della questione, che per gli attivisti è di tipo sanitario: a differenza infatti della vicenda di Comiso nei primi anni ’80, quando la presenza militare Usa in Sicilia era rifiutata su basi ideologiche pacifiste, qui il punto di attacco della polemica sono le onde elettromagnetiche provocate dall’antenna satellitare. Il 31 maggio l’Istituto superiore di sanità renderà note le sue conclusioni.

Nessuna evidenza scientifica
“Quando accendi un forno a microonde, ti esponi a radiazioni dieci volte superiori agli standard italiani ma al di sotto del livello del Muos”, ha affermato John Oetting, esperto di Muos della John Hopkins University, intervistato oggi da Panorama. Secondo lo studioso “il livello di emissioni lungo il recinto è mille volte inferiore ai limiti consentiti dalla legge statunitense e più di dieci volte al di sotto degli standard italiani”. In pratica, al recinto di Niscemi i livelli di emissioni sono inferiori a quelli emessi a 1 km di distanza da un’antenna televisiva.

La palla alle diplomazie
Il punto è importante, perché se le indicazioni scientifiche vanno in quella direzione, è davvero possibile che quello del Muos sia un abbaglio polemico. La questione, a questo punto, è evitare che l’abbaglio diventi gaffe diplomatica e poi vero e proprio elemento di rottura. Il primo tratto del percorso è già stato fatto, se è vero che il portavoce dell’ambasciata Usa Stephen Anderson ha dovuto chiarire, anche di fronte a ipotesi di referendum locale sulla base Muos, che per Washington “l’interlocutore primario rimane il governo italiano che ha riconosciuto alla base di Niscemi un interesse strategico nazionale”.

Primari interessi Usa in gioco
A ciò si aggiunge la sorpresa per l’assenza di analoghi movimenti “Nimby” (not in my backyard) presso le altre antenne installate del Muos. Con la specificità che questa base ha un valore particolare per gli Usa, in quanto collocata al centro del Mediterraneo e in grado di servire teatri fondamentali come quello africano, dove oggi si giocano partite importanti dal Sahel al Corno d’Africa. L’atteggiamento è comunque positivo. “Ci aspettiamo che, accertata nuovamente la non pericolosità, si accetterà di ospitare un sistema in grado di migliorare numerose operazioni militari” afferma Anderson.

Fine della melina romana?
Lo strano e inedito intreccio tra pulsioni Nimby e sicurezza strategica va sbrogliato prima che diventi una passività vera e propria per la politica estera italiana. Per la quale il Muos, lungi dall’essere un’imposizione coloniale, è una carta da giocare, visto il valore che riveste in un’area su cui è fondamentale avere antenne puntate, e non solo, a questo punto, metaforicamente. Le città costiere del Mediterraneo sono infatti lo scenario geopolitico più sfidante del prossimo futuro in termini sociali, ambientali e di sicurezza. L’incontro di oggi è l’occasione per fare chiarezza, forse definitiva, su questa vicenda. Il dribbling dell’ex governo tecnico e delle forze politiche nazionali, che non hanno saputo o voluto articolare una risposta alle iniziative del M5S in Sicilia, potrebbe essere giunto al termine.

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