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Nuovo direttore generale alla Banca d’Italia. E’ arrivata ieri, su proposta del governatore Ignazio Visco, la nomina di Salvatore Rossi, già membro del Direttorio in qualità di vice direttore generale. Le linee guida economiche del Rossi dg? Probabilmente resteranno quelle che lo hanno caratterizzato fino ad oggi: un forte sostegno al liberismo e una critica poco velata a chi, come Giulio Tremonti, ha avuto posizioni critiche sul ruolo della finanza nell’innesco della crisi.

La critica alle deboli liberalizzazioni del governo Monti

La voce di Rossi si era già fatta sentire lo scorso anno, criticando ad esempio “le timidezze delle norme sui professionisti (non è previsto l’obbligo di pattuire il compenso per iscritto) e sulle farmacie (sono sempre presenti limiti eccessivi all’accesso). Rossi ha anche espresso dubbi sulla portata davvero liberalizzatrice delle norme sulle banche, auspicando una maggiore trasparenza per ridurre i costi di bancomat e carte di credito; materia di competenza anche di Bankitalia, peraltro”, aveva sottolineato il Foglio.

Una politica industriale non dirigista

Oltre alle critiche alle liberalizzazioni annacquate del governo Monti, un filone a parte del Rossi-pensiero era ed è tuttora quello della mancanza di una politica industriale per il Paese, a cui potrebbe, difficilmente, puntare il neopremier Letta. Il tema era già stato affrontato negli scorsi anni da Rossi, come osservava il Foglio nel 2010, riportando dei passaggi di uno studio intitolato ‘L’economia italiana tra crisi e nuova globalizzazione’, curato da due economisti della Banca governata da Mario Draghi, appunto Rossi e Antonio Accetturo, e da Anna Giunta dell’Università Roma Tre. “’Una politica industriale serve purché non ricalchi quella discrezionale e dirigista degli anni Settanta, e si ispiri al modello tedesco non solo nelle relazioni sindacali ma anche come proiezione del sistema paese'”.

Il contrasto con Tremonti sul ruolo della finanza

La critica a Tremonti di Rossi, come direttore del servizio studi di Bankitalia all’economia finanziaria, sottolineava Stefano Feltri sul Riformista nel 2008 riprendendo uno scoop del Foglio, si fondava su basi opposte a quelle del ministro dell’Economia Giulio Tremonti. “La finanza, scrive Rossi in un testo dal titolo ”Finanza, mercato e globalizzazione: un complotto contro il genere umano?”, non è ‘instrumentum diaboli’, stiamo assistendo non al fallimento del mercato, ma dello Stato”. “Il laissez faire predicato dagli ultraliberisti è un’ideologia o, per dirla con Luigi Einaudi, una posizione ‘religiosa’, perché, sostiene Rossi, ‘una delle conclusioni a cui sono giunti secoli di scienza economica è che il mercato deve essere regolato oppure non è mercato'”.

La necessità di una regolamentazione statale del mercato

“Lo Stato che non interviene – proseguiva Feltri – fa quindi in realtà una scelta, mantenendo regole inefficaci e mal applicate approva implicitamente il trasferimento di ricchezza da alcuni soggetti ad altri e quindi è almeno complice, se non responsabile, della crisi. La finanza e la globalizzazione non sono la ‘peste del secolo’ evocata da Tremonti, ma, secondo Rossi, ‘rappresentano semplicemente un’opportunità per gli individui, le società e le economie. Devono essere capite e governate, e non possono essere arrestate se non al costo di rassegnarsi a restare indietro e diventare marginali’”.

L’intervento statale in finanza secondo Visco

L’infatuazione per le capacità autoregolatrici dei mercati è un tema sottolineato di recente anche dal governatore di Bankitalia Visco. “La crisi – ha spiegato lo scorso marzo – è il capitalismo che l’ha prodotta ed è il capitalismo che la verrà ancora a cercare, dovesse ancora perdurare l’ondata di infatuazione nei riguardi delle capacità autoregolatrici dei mercati finanziari. La banca centrale – ha sottolineato – produce un bene impalpabile ma essenziale come la fiducia, di cui il capitalismo, basato com’è su una piramide di carta, quando non soltanto di poste elettroniche, ha un bisogno enorme”.

…e nell’economia reale

Lo Stato quindi, per entrambi, deve intervenire nel mondo della finanza come garante del rispetto delle regole, e quindi, del mantenimento dell’equità. Il divario teorico tra Visco e Rossi si sposta sul piano quantitativo e dell’economia reale. E a premere di più sull’azione statale è sicuramente il primo. “Mentre si cerca di uscire dall’attuale fase recessiva, occorre mettere in atto le iniziative più appropriate sui diversi piani dell’intervento pubblico per accrescere gli incentivi pubblici e provati e per investire nella scuola e nella formazione permanente”, spiegava Visco a fine 2011.

Salvatore Rossi, un liberista doc alla guida di Bankitalia

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