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Estratto dalla prefazione a “Dc. Il partito che fece l’Italia” di Giovanni di Capua e Paolo Messa, ed. Marsilio-Formiche

La Dc ha rappresentato per me – ma credo anche per tanti altri che vi hanno militato – l’invito costante a considerare non occasionale ciò che accade giorno dopo giorno, come tanti fatti slegati tra loro; ma anzi a considerare tutto come correlato, come attraverso una tela di ragno che ti consente di cogliere il senso profondo delle cose che accadono e che passano.
I primi anni del dopoguerra furono esaltanti, ed è riduttivo dire che il solo scopo e il collante della Dc era mettere un argine al pericolo comunista. Pur essendoci fortemente questa preoccupazione di difesa dal comunismo, la spinta era di carattere positivo: era il fascino che il nome cristiano riusciva a suscitare in tutto quello che poteva essere l’evolversi giorno per giorno della vita di ciascuno di noi.

Una lezione che emerge dalla storia della Dc e che può valere anche oggi è che senza un punto di riferimento che vada oltre l’occasionale, il contingente, è quasi impossibile creare un nuovo soggetto politico. L’itinerario per la creazione di un nuovo movimento politico non può essere inizialmente organizzativo, tanto, che i padri fondatori democristiani partirono dalla idee, dal Codice di Camaldoli. Se manca la base morale, direi anche spirituale, è difficile essere poi capaci di attrarre la gente ed in particolare i giovani.
Di crisi negli anni della Dc ne abbiamo avute molte, ma, rispetto a quelle di oggi, c’è meno impulso di carattere teorico e culturale, e maggiore spinta materiale. Saper guardare in alto era un’abitudine che forse lungo la strada abbiamo perduto.

Anche le correnti potevano essere uno stimolo spirituale e culturale (alcune riforme importanti come quella agraria e la legge per il Mezzogiorno si devono alle correnti) ma dolorosamente potevano essere motivo di drammatiche divisioni, mettendo gli uni contro gli altri. De Gasperi non le volevano perché, invece di attirare una gara in positivo, potevano attivare una concorrenza deleteria, in uno spirito “commerciale” che è l’ultima cosa che serve in questo ambito.

Però, nonostante la lunga militanza non mi sono mai sentito un estraneo nella Dc, ne ero attratto sentimentalmente, oltre che razionalmente, e non ho mai pensato che la mia strada potesse essere un’altra da quella. C’ era sempre uno stimolo ad andare avanti senza essere reso fragile dal guardare troppo indietro. Ancora adesso credo che l’indirizzo da far prevalere sia quello di guardare sempre avanti o meglio sempre alto.

Questo “guardare alto” mi permette di fare una nota su un altro aspetto: la chiave per capire il rapporto che c’è stato tra la Dc e la Chiesa sta nelle persone. Bisogna tenere conto della grandezza di alcuni ecclesiastici con cui siamo cresciuti e abbiamo fatto un pezzo di strada. Dell’abitudine che avevano, Montini ne era un esempio, di saper guardare i problemi non solo nel loro ambito materiale, contingente. Sapevano guardare al di sopra della nostra testa e proprio per questo erano un passo avanti, sapevano guardare alto.

Concludo: ripercorrere la storia della Dc è molto opportuno, per meditare e non correre il rischio di dare oggi come essenziale ciò che è assolutamente marginale e viceversa. I tempi che passano portano sempre delle novità, però guai a ritenere di essere all’inizio della creazione. Ci sono momenti in cui meditare serve per non dimenticare ciò che ci ha portato fin qui.

La lezione della Dc secondo Giulio Andreotti

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