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Come accadde per Benedetto xvi, che fece il primo viaggio internazionale tornando in patria per la Gmg a Colonia, così per Francesco l’appuntamento a Rio è un ritorno vicino a casa, quasi alla “fine del mondo”, in America latina. È una coincidenza felice e importante: è questo il primo e per quanto ne sappiamo l’unico viaggio internazionale che il nuovo papa farà quest’anno, in un Paese che già nel 2007 accolse con grande entusiasmo Benedetto xvi, e che oggi aspetta il suo successore. Tante sono le sfide per la Chiesa in Brasile come nei Paesi limitrofi: l’espansione dei gruppi evangelici, la secolarizzazione che avanza anche da quelle parti, la povertà. Uno degli appuntamenti più attesi è la visita che Francesco farà a una favela. Una delle chiavi di volta del nuovo pontificato è infatti la prossimità, una Chiesa che esce da se stessa e dall’autoreferenzialità per accostarsi alle periferie, sia quelle geografiche come quelle esistenziali, quelle marginalità interiori della disperazione abitate oggi da troppi giovani.

Questo viaggio nell’Anno della Fede avviene mentre siamo ancora nel pieno della crisi economico-finanziaria, un evento che si è avvicinato a noi occidentali negli ultimi tempi, ma la cui drammaticità è fin troppo nota a chi da sempre nel Terzo mondo fa i conti con povertà e mancanza di lavoro. Sulla valutazione complessiva delle cause che ci hanno portato fin qui non ci sono differenze sostanziali tra Francesco e il suo predecessore Benedetto. È infatti comune la constatazione della mancanza di etica in economia e della tirannia del mercato sull’uomo. “Se i bambini muoiono di fame, questo non è notizia. Se la Borsa perde dieci punti, è una tragedia”, ripete papa Bergoglio. Certo per storia, provenienza, personalità, questo papa propone un passo in più, non solo ai pastori, ma a tutta la Chiesa: in questo tempo egli chiede di spogliarsi dei beni esteriori, di dare concreti messaggi e segni di sobrietà, di interrogarsi sul modo più adeguato di utilizzare il denaro. “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”, ha detto Francesco il 16 marzo, incontrando i giornalisti dopo l’elezione. Qualcuno etichetta questi richiami come “pauperismo”: probabilmente si tratta di chi non ha mai conosciuto veramente i poveri di cui parla il Vangelo, e magari teme di veder messo in discussione il modo in cui vive, il proprio rapporto con i soldi e se è insignito di qualche carica ecclesiastica, magari il modo in cui è attaccato ai simboli di queste cariche.

È vero che i media a volte rischiano di banalizzare il messaggio del papa. Ma senza alcun dubbio Francesco sa comunicare benissimo, senza bisogno di consulenti e spin doctor. Baidee 77 formiche 83 — luglio 2013 «Il messaggio di Francesco ha creato un entusiasmo, un nuovo slancio e un interesse di cui si trovano riflessi anche in mondi lontani: per alcuni è stata addirittura un’occasione per riavvicinarsi alla Chiesa e riscoprire la fede» stano le sue omelie mattutine di Santa Marta per testimoniare una predicazione con messaggi semplici, efficaci e profondi, che le persone comprendono. Certo, ci sono circoli intellettuali che sembrano provare un palpabile fastidio per il fatto che i gesti di Francesco suscitano grande simpatia tra i credenti e anche tra chi non crede o si è allontanato dalla fede. Come se questa simpatia costituisse un giudizio implicito (e negativo) verso il predecessore. È chiaro che i media tendono a procedere per contrapposizioni tra i papi, magari sbagliando (per esempio si dimentica che anche Benedetto xvi è stato grande comunicatore, capace di risposte molto coinvolgenti, soprattutto quelle date “a braccio”, e di immagini molto belle ed efficaci nei suoi scritti), ma bisogna pur riconoscere che ciascun papa porta una differente personalità e un differente stile.

Se non fosse così, e se i papi dovessero limitarsi alla pedissequa ripetizione del passato, come parole e come gesti, a guidare la Chiesa ci sarebbe ancora un pescatore della Galilea… Insomma, talvolta dietro certe lamentele per la “luna di miele” fra i media e Francesco, e per la (presunta) banalizzazione che televisioni e giornali farebbero del suo messaggio, si intravvedono altre ragioni. A livello popolare e di semplici fedeli, il messaggio di Francesco e i suoi primi passi hanno creato un entusiasmo, un nuovo slancio e un interesse di cui si trovano riflessi anche in mondi lontani: per alcuni è stata addirittura un’occasione per riavvicinarsi alla Chiesa e riscoprire la fede. Si tratta di una chiamata che attraversa e scalza le vecchie contrapposizioni tra le “truppe scelte agli ordini del papa”, cioè i movimenti, e il mondo delle parrocchie: una chiamata che riguarda la Chiesa in tutte le sue articolazioni, con l’invito a uscire dall’autoreferenzialità, che per il papa è una delle più gravi “malattie” di cui soffre il cattolicesimo.

Per quanto riguarda i temi bio-etici, l’approccio del papa appare più positivo e propositivo. Il che non vuol dire affatto edulcorare il messaggio evangelico, ma forse, questo sì, mettere in guardia dal rischio di strumentalizzazioni politiche su temi importanti che però non costituiscono il cuore dell’annuncio cristiano, nonostante per taluni aspiranti “prefetti del Sant’Uffizio” (di cui il web è sorprendentemente pieno) siano discriminanti in base alle quali assegnare pagelle di cattolicità a tutti, papa incluso.
Francesco incontrerà, nella gioventù di Rio, un campione rappresentativo di una società giovane, che come altrove nel mondo ha conosciuto la Chernobyl delle coscienze di questi decenni. Che impatto può avere il richiamo alla misericordia e alla pazienza del papa a giovani abituati a vivere in società che spesso non sanno più che cosa siano misericordia e pazienza? Eppure proprio in questo tempo rappresentato dall’appiattimento e dallo sfibrarsi delle relazioni permanenti, il richiamo di Francesco si appella al bisogno più profondo e più vero che alberga nel cuore dell’uomo: quello della misericordia, della tenerezza, della pazienza di Dio e per riflesso della nostra capacità di “percorrere la pazienza”, come ripete spesso il papa. Proprio come accadeva duemila anni fa per le strade della Galilea e della Giudea, quando incontrando Gesù di Nazaret ci si imbatteva nella commovente sorpresa di un Dio che ci ha voluti e ci ama così come siamo, e che ci abbraccia con la sua misericordia prima di giudicarci.

Articolo pubblicato nel numero di luglio della rivista Formiche

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