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Negli ultimi mesi una maggiore stabilità interna in Somalia e l’intervento della Francia in Mali hanno offerto l’immagine di un’Africa in grado, col tempo, di arginare uno dei fenomeni più preoccupanti che ne stanno caratterizzato la fascia sahariana. Ovvero l’avanzata del fondamentalismo islamico, che vede proprio nelle realtà africane più povere e marginali un terreno di conquista fertile e al tempo stesso una “via di sfogo” rispetto alle aree mediorientali e asiatiche dove vi è una crescente vigilanza sui movimenti di al-Qaeda e delle sue affiliate. Ma la questione resta molto complessa e la realtà è meno lineare di quanto possa apparire. Due notizie di oggi suggeriscono questa considerazione: da un lato il delinearsi dei gravissimi danni, in termini di vite umane e di distruzioni, causati in Somalia da una serie di attentati avvenuti nella capitale Mogadiscio; dall’altra la decisione, annunciata dal suo presidente Idriss Deby, del Ciad di voler ritirare le proprie truppe dislocate in Mali a supporto dell’azione militare francese volta ad abbattere i gruppi fondamentalisti.

Nella giornata di ieri la capitale somala è stata scossa da due fatti che la riportano drammaticamente indietro di qualche mese. Un commando suicida ha attaccato il palazzo di giustizia ingaggiando una battaglia con le forze armate durata tre ore e costata la vita a 29 persone. Nelle stesse ore in un’altra zona della martoriata città un’autobomba, destinata a colpire un convoglio umanitario, uccideva cinque persone. La rivendicazione degli attentati è stata chiara: “Si è trattato di un’azione religiosa contro dei miscredenti che partecipavano alla riunione in tribunale. Continueremo fino a che la Somalia non sarà liberata dagli invasori”. La firma è di el-Shebab, il gruppo di studenti coranici ultrafondamentalisti che tuttora controlla parte dell’area centrale della Somalia e che era arrivato a più riprese a insidiare la stessa capitale. Nel corso dell’ultimo anno il rafforzamento del governo somalo, rientrato in patria dopo molti anni passati nel vicino Kenya per l’assenza di sicurezza in una Somalia sconvolta dalla guerra civile, e l’afflusso di investimenti dall’estero (soprattutto da parte della Turchia e delle monarchie del Golfo) avevano ricacciato indietro gli Shebab, legati ad al-Qaeda e desiderosi di imporre un regime di tipo talebano. Gli attentati di ieri, che sono un duro colpo anche sul piano morale per un Paese che per la prima volta dopo vent’anni di caos assoluto stava mostrando qualche pur vago segnale di stabilità, sono un brusco ritorno alla realtà e chiamano nuovamente in causa gli alleati occidentali del governo somalo e i Paesi vicini impegnati a sostenere la missione di mantenimento della pace in corso da molti anni per mano dell’Unione Africana.

Nel Mali, invece, pur nel silenzio dei media (cosa inevitabile tre mesi dopo l’avvio delle operazioni) la presenza dei militari francesi continua. Così come continua la resistenza da parte delle milizie fondamentaliste che alla fine dell’anno scorso avevano conquistato la storica città di Timbuctu, mettendo a repentaglio l’intero Paese. Una resistenza che si sta dimostrando accanita, tanto che il più importante alleato africano della Francia nell’operazione contro i gruppi di “al-Qaeda nel Maghreb”, il Ciad, dopo un attentato costato la vita a tre suoi soldati nel nord del Mali, ha annunciato l’imminente ritiro dichiarando compiuta la sua missione, pur affermando la volontà di contribuire a una futura missione di mantenimento della pace sotto la bandiera dell’Onu.

Il fondamentalismo islamico punta sempre sull’Africa

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