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Nawaz Sharif ha vinto le elezioni in Pakistan ma resta un gran punto interrogativo per il futuro del Paese. La sua storia è rappresentativa delle contraddizioni che fanno parte dell’identità pakistana. Ex premier e leader del Movimento musulmano pachistano, Sharif è sopravvissuto a golpe militari, attentati, accuse e all’esilio. Ma riuscirà in questa nuova sfida di sollevare l’economia e sconfiggere la minaccia del terrorismo islamico, due dei grandi mali del Pakistan?

In conversazione con Formiche.net, Tatiana Boutourline, giornalista esperta di Medio Oriente e collaboratrice del Foglio, ha spiegato le sfide che dovrà affrontare Sharif in questo secondo mandato, i punti forti (e quelli deboli) del programma di governo, gli errori commessi, l’ombra del potere militare e i cambiamenti nei rapporti con gli Stati Uniti.

Usa, amici o nemici?

I rapporti tra il nuovo presidente del Pakistan e gli Stati Uniti sono complicati. Da un lato Sharif non ha dimenticato che gli americani hanno sostenuto il generale Pervez Musharraf, l’uomo che lo ha rovesciato e costretto all’esilio in Arabia Saudita. “Durante la campagna elettorale Sharif ha picchiato duro sull’impianto della guerra al terrore e sull’uso dei droni. D’altro canto Sharif è un uomo pragmatico, quando nel ’98 sostenne un emendamento per imporre la sharia lo fece per ragioni squisitamente tattiche, ossia garantirsi l’appoggio degli islamisti. Lo stesso cinico pragmatismo dovrebbe spingerlo a temperare l’ostilità nei confronti degli Stati Uniti”.

Ma a causa della situazione difficile in cui si trova l’economia pachistana, Sharif dovrà negoziare con il Fondo monetario internazionale. “Per questo motivo la mediazione degli Stati Uniti sarà necessaria. Sharif dovrà da un lato dialogare con Washington e dall’altro mantenere un atteggiamento abbastanza critico in modo da non scontentare il suo elettorato”.

L’ambiguità pakistana

Secondo Boutourline, ad aiutare Sharif nella vittoria non è stato semplicemente l’avere una posizione morbida nei confronti dell’islamismo militante. “Sharif è un uomo pragmatico, quando nel ’98 sostenne un emendamento per imporre la sharia lo fece per ragioni squisitamente tattiche, ossia garantirsi l’appoggio degli islamisti. Lo stesso cinico pragmatismo dovrebbe spingerlo a temperare l’ostilità nei confronti degli Stati Uniti. Ma le ambiguità in Pakistan non sono facili da dissipare”.

L’ombra dei militari

Il governo precedente di Bhutto era molto debole. Aveva una maggioranza zopiccante che perdeva i pezzi ogni giorno e nonostante la caduta di Musharraf i militari si sono tenuti stretti molti dossier importanti. Per questo Boutourline considera che il potere dei militari non scomparirà da un giorno all’altro: “Una prova della debolezza delle istituzioni civili in Pakistan è l’espulsione sabato scorso del corrispondente del New York Times, Declan Walsh, per alcuni reportage scritti sui droni. I militari hanno deciso di cacciarlo e il governo uscente ha confessato di non saperne niente. La domanda è quanto potere reale Sharif riuscirà a strappare ai militari”, aggiunge Boutourline.

Le sfide economiche ed energetiche

Tra le sfide all’ordine del giorno per Sharif ci sono la questione energetica e la crescita economica. Sharif deve garantire ai pakistani l’energia che permetterà di sostenere le attività e le imprese. I continui black out (in Pakistan frequentemente manca l’energia elettrica per 20 ore al giorno) minacciano l’industria e questa realtà la popolazione non vuole più tollerarla. “Sharif – spiega Boutourline – ha fatto grandi promesse come per esempio raddoppiare il Pil, sono promesse ambiziose. La borsa per ora ha reagito bene alla sua elezione”. Sharif è un businessman e piace alla classe media: promette treni veloci, efficienza, sviluppo, gli hanno creduto”, ha detto Boutourline. La domanda è se (e come) ci riuscirà.

Fermare la violenza

Per Boutourline la partecipazione dei pakistani alle urne (60% sono andati a votare) è un segnale importante della popolazione contro il terrore. Negli ultimi mesi 100 persone sono state uccise in diversi attentati, molte altre ferite e sequestrate. E nonostante le aggressioni della giornata, i cittadini sono andati ai centri di votazione. La giornalista ha aggiunto: “In Occidente diamo per scontato l’atto del voto. Anche se in Pakistan il voto è anche in parte determinato dagli ordini del clan, i biradari, l’affluenza è sicuramente un segnale che fa ben sperare. Il solo gesto del voto, la sua ritualità, crea sogni e aspettative. Non credo però, purtroppo, che basti per fermare la violenza”.

Pakistan, le nuove sfide di Nawaz Sharif

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