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L’incognita sicurezza pesa sulla elezioni provinciali che si tengono domani in 12 delle 18 province dell’Iraq. Si tratta delle prime consultazioni a svolgersi nel Paese dopo il ritiro dei soldati americani, finito nel 2011. Nonostante il dispiegamento di agenti ai seggi, alla vigilia è alto il timore che il voto venga macchiato da episodi di sangue. Un segnale è che per motivi di sicurezza le elezioni non si terranno nelle province a maggioranza sunnita di al-Anbar e Ninive e in quella semi-autonoma di Kirkuk.

Nelle ultime settimane si è registrata un’escalation delle violenze nei confronti dei candidati, superiore a quella delle scorse elezioni provinciali che si sono svolte nel 2009. In quell’occasione furono otto i candidati che furono uccisi durante la campagna elettorale. Oggi, a meno di 24 ore dall’apertura dei seggi, si contano già 14 vittime e numerosi tentativi di omicidio falliti. Stanotte poi l’ultimo di una lunga scia di attentati che in queste settimane ha insanguinato l’Iraq: un’esplosione in un caffè di Baghdad frequentato soprattutto da giovani ha provocato almeno 27 morti e decine di feriti. Tranne alcune aree, il Paese è ancora attraversato da forti tensioni che determinano un quadro instabile.

Secondo il sito “Iraq Body Count”, nel 2012 si sono contati 4.571 civili morti in attentati, un dato inferiore solo alle 5.102 vittime del 2009. Le stime per quest’anno sono negative e se sarà confermato il trend di violenze di questi primi mesi il bilancio complessivo a fine anno sarà vicino a quello record di quattro anni fa.

Un importante test politico

Sul piano politico, invece, le elezioni rappresentano un test importante per il primo ministro Nuri al-Maliki, che attende il responso delle urne per capire quali siano effettivamente le sue chance di ottenere un terzo mandato consecutivo in vista delle elezioni generali del prossimo anno. Ma sulla ricandidabilità del premier è in corso un braccio di ferro: una nuova legge, approvata a gennaio, gli impedisce di correre per la terza volta alla carica di premier, malgrado i deputati del suo schieramento sostengono che la norma sia incostituzionale e promettono battaglia.

Indebolito dalle bordate dei suoi rivali che lo accusano di tendenze dittatoriali e dalle proteste di piazza, Maliki sta tentando di tenere unito un Paese dilaniato, che appare in crisi anche sul piano economico, nonostante l’impennata del prezzo del greggio abbia garantito la tenuta dei conti pubblici negli ultimi anni. Rimane in sospeso la questione Kurdistan, con le tre province che andranno a votare in un’altra data per marcare la loro autonomia dal governo centrale e che marciano verso l’indipendenza.

Ma è soprattutto ai movimenti di piazza che il primo ministro sciita di ispirazione laica guarda con preoccupazione. Mai come in questa fase, infatti, il blocco sunnita gli è ostile. Ogni venerdì migliaia di manifestanti, fomentati dai leader dell’opposizione, scendono in piazza contro il governo al punto che alcuni analisti non escludono in Iraq un colpo di coda della Primavera araba, dopo le rivoluzioni in Tunisia, Libia, Egitto e Yemen.

L’Iraq al voto, domani elezioni provinciali

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