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Pubblichiamo un articolo del dossier “Euroscettici d’Europa: non solo Grillo” dell’Ispi

Il futuro di Alternative für Deutschland, il nuovo partito tedesco anti-euro che sta nascendo in queste settimane, può essere immaginato pensando a una forbice le cui due lame sono per il momento abbastanza distanti. Da una parte c’è l’elettorato potenziale, che secondo alcuni sondaggi potrebbe superare il 20 per cento del totale. Dall’altra c’è la quota effettiva di cittadini disposti a spostare il loro voto su una nuova formazione politica come questa: non più dell’1-2 per cento, secondo molti osservatori. Mancano sei mesi alle elezioni del 22 settembre e le incognite sono molte. Ma non è affatto escluso che la nostra forbice finisca per essere rimessa nel cassetto.

Va tenuto presente, infatti, che i settori dell’elettorato moderato più sensibili alle proposte di Alternative für Deutschland non sono in realtà particolarmente “mobili”. Tra questi elettori, quanti potrebbero essere effettivamente disponibili a indebolire la coalizione tra cristiano-democratici e liberali guidata da Angela Merkel mettendone in pericolo una riconferma? La crisi progressiva dei grandi partiti tedeschi (ancora vent’anni fa Cdu e Spd si spartivano quattro quinti dei seggi del Bundestag) ha coinvolto solo marginalmente, nell’ultima fase, chi era vicino ideologicamente a uno dei due schieramenti. Al contrario di quanto è avvenuto in altri paesi, dove le forze politiche “tradizionali” hanno perso anche sostenitori politicamente motivati o simpatizzanti.

Alternative für Deutschland vuole rivolgersi a un elettorato cristiano-democratico o liberale, di istruzione medio-alta, deluso dai partiti per cui ha votato, non contrario pregiudizialmente all’Europa ma preoccupato per gli effetti negativi della crisi sull’economia tedesca. Al momento di tirare le somme è molto probabile che questo elettore non abbia alcun interesse a vedere prevalere un’alleanza rosso-verde, che almeno numericamente è sostanzialmente appaiata, nei sondaggi, a quella che sostiene la cancelliera. Non è un partito “di protesta”, che del resto avrebbe ancora meno spazio di manovra in un paese come la Germania (anche se vanno ancora chiariti i rapporti con il movimento nato in Baviera dei Freie Wähler che ha utilizzato anche parole d’ordine di tipo populista). I dirigenti di Alternative für Deutschland (la prima manifestazione pubblica ha avuto luogo nei giorni scorsi a Oberursel, non lontano da Francoforte, mentre il congresso di fondazione si terrà a metà aprile a Berlino) sono professori, intellettuali, politici di area governativa.

L’economista Bernd Lucke, che si sta accreditando come il leader, si è espresso in termini espliciti per la “dissoluzione” dell’euro: si deve tornare al marco tedesco o creare unioni di valute di dimensioni più piccole. A suo giudizio, i paesi del sud Europa hanno perso totalmente la competitività e vengono sempre più strangolati dalla misure necessarie per restare nell’Unione monetaria. Non esiste altra via d’uscita.

Una parte di questi argomenti ha ispirato il dissenso di quei parlamentari della maggioranza che al Bundestag hanno votato contro i salvataggi europei. Ma la capacità che ha dimostrato Angela Merkel di saper neutralizzare quelle prese di distanza con un’accorta politica negoziale, sia all’interno della Germania che a Bruxelles, rende improbabile una saldatura tra posizioni meno e più radicali contro la linea europea del governo. Per la cancelliera, al di là delle dichiarazioni pubbliche, l’irreversibilità della moneta unica non è un dogma, ma uno scenario nel quale è improponibile che la Germania paghi per gli altri. E questo lo sa anche l’ex presidente della Confindustria Hans-Olaf Henkel, sostenitore da tempo della nascita di un “euro del nord” e di “un euro del sud”, che è il nome più noto tra gli ispiratori del nuovo partito.

Proprio l’ex capo della Confindustria tedesca è l’elemento che collega Alternative für Deutschland con il movimento fondato a Vienna dall’ottantenne industriale austro-canadese Frank Stronach. Henkel ha dato il suo appoggio al Team Stronach, la cui piattaforma politica prevede tassi di cambio flessibili all’interno dell’Eurozona, perché «un euro tedesco o austriaco deve valere di più di un euro greco».

Un modo come un altro per spaccare tutto senza dirlo chiaramente. Ma quella creata dal numero uno della Magna International (azienda leader in America del Nord nella produzione di componenti per automobili), è qualcosa più di una forza politica euroscettica. È un partito “personale”, fautore della semplificazione fiscale e di un rapporto diretto con gli elettori, che si pone come alternativa al logorato bipolarismo che ha condizionato la politica austriaca e all’impresentabile estrema destra dei successori o dei nemici di Jörg Haider. In Austria si è fatto sia il nome di Berlusconi che quello di Grillo. La realtà è che il movimento di Stronach, nel segno della rivolta contro la “vecchia politica”, sta pericolosamente riempiendo un vuoto esistente, senza avere in realtà altra arma che il discutibile carisma del suo fondatore. I risultati ottenuti recentemente in Carinzia (11,3%) e in Bassa Austria (9,8%) sono un segnale da non sottovalutare in vista delle elezioni politiche di questo autunno.

Paolo Lepri è corrispondente da Berlino per il Corriere della Sera

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