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Negli ultimi giorni, seguendo “un po’ per celia e un po’ per non morire”, le cronache dell’assemblea  di Confindustria a Torino ho avvertito che c’era sia nella relazione d’apertura sia negli appassionati interventi svolti alla tribuna o nei confronti d’opinione, qualche cosa che non andava, come se una moneta, sbattuta più volte sul marmo, mandasse un suono fesso. Poi, la folgorazione.

Sono corso a cercare in biblioteca un saggio dedicato al discorso d’insediamento di John F. Kennedy del 20 gennaio 1961. E’ stato come rivolgere indietro la moviola della storia fino a tornare alla mia giovinezza, perché in quel gelido e innevato giorno di inverno (si seppe poi che il presidente aveva indossato i mutandoni di lana per poter resistere al freddo intenso) quel discorso – durato in tutto una quindicina di minuti – cambiò l’America e il mondo.

Uno dei passaggi cruciali di quel mirabile speech mandò un segnale di novità e di impegno a milioni di persone: “Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi, ma che cosa voi potete fare per il vostro Paese”. Una frase, questa, poi scolpita sul monumento funebre di questo grande leader del mondo libero nel cimitero degli eroi di Arlington. Certo, non potevamo aspettarci che, da Boccia o da Squinzi e neppure dal ‘’trio capinera’’ del sindacalismo italiano, fossero pronunciate parole tanto alate in grado di colpire la fantasia e riscaldare il cuore di tutti gli uomini di buona volontà a qualsiasi latitudine e longitudine fossero.

Ma aver convocato tante persone (sicuramente impegnate a mandare avanti la baracca in mezzo a troppe difficoltà) allo scopo di sollecitare la formazione di un governo (e non un governo qualunque, si precisa) e rivolgere ai sindacati l’invito a portare avanti insieme ulteriori forme di pressione, solleva più di una perplessità.

Verrebbe da chiedere: ma lo sapete perché non si è ancora costituito un governo? E per uscire dall’impasse bastano le esortazioni a fare? E a fare che cosa, poi? Forse un ‘’governissimo’’  che includa le principali forze politiche oppure un esecutivo di cambiamento (per dirla con Bersani) impegnato a mendicare un voto di fiducia al Senato grazie alla “persuasione occulta” di qualche grillino?

Oppure è venuto il momento del ‘’salto della quaglia” e di conferire al M5S l’incarico sfasciare completamente e definitivamente le istituzioni democratiche? Non scherziamo. Nell’autunno del 2011 quando il Sole 24 Ore uscì con il titolo a carattere cubitali “Fate presto” si sapeva che dietro l’angolo ci stava il governo dei tecnici. Bastava soltanto liberarsi di Berlusconi.

Oggi a chi si rivolge l’autorevole quotidiano economico quando si invitano i partiti a smettere di giocare? Si dirà che la Confindustria è autonoma e rispetta l’autonomia altrui; non dà indicazioni di formule di governo, ma valuta i contenuti dei programmi. Bene. E’ come ammettere di parlare d’altro, poiché in questione, nel dibattito politico attuale, non sono i programmi, ma le formule.

Il programma ce lo ha lasciato in eredità Giorgio Napolitano con i suoi dieci saggi. Quanto  al  “patto dei produttori” ci hanno provato a redigerlo e a sottoscriverlo intere generazioni di imprenditori e di sindacalisti. E’ una specie di danza della pioggia. Le tribù di aborigeni con questi riti si tolgono periodicamente il pensiero di aver fatto tutto il possibile per avere un po’ d’acqua, risparmiandosi la fatica di scavare pozzi profondi per andarla a cercare. Confindustria e sindacati si rivolgono al patrio governo con una bella lista di rivendicazioni comuni. Lo hanno fatto anche di recente.

Ricordate il documento sottoscritto da 17 organizzazioni presentato al governo nella primavera del 2011, proprio quando si intravvedeva l’avvitarsi della crisi? Le parti sociali sarebbero molto più credibili se partissero da un altro angolo di visuale. Sì, proprio quello del discorso di Kennedy. Che cosa potrebbero fare le imprese e i sindacati per il Paese, attraverso quanto è in loro diretto potere. Il costo del lavoro è elevato? Spostino il peso delle retribuzioni sulle quote destinate a ricompensare la maggiore produttività che godono di un trattamento fiscale di favore.

C’è da recuperare competitività a livello internazionale? Contrattino orari e turni che garantiscano una maggiore saturazione degli impianti, avvalendosi anche delle norme che consentono di derogare alle regole di legge e dei contratti. Così, se il nocciolo duro delle convergenze tra parti sociali riguarda quanto appartiene alla loro disponibilità, diventano anche più credibili le richieste da presentare al governo. Altrimenti si continua a giocare allo scarico del barile. Un presidente degli Stati Uniti soleva dire che il suo tavolo nella stanza ovale era il punto in cui finiva questo gioco. Solo che da noi, a forza di screditare la politica, non esiste più un tavolo in cui lo scarico del barile abbia fine.

Cari Squinzi e Camusso, ecco che cosa potete fare davvero per risollevare il Paese (senza lagnarvi tanto)

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