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La sinistra è minata da un male endemico: l’irrealismo. Percependosi superiore moralmente e culturalmente, neppure viene sfiorata dal sospetto che il mondo circostante sia diverso da come lo vede. Il “nemico”, dunque, è chi ha una visione diversa dalla sua. E con il “nemico” non ci si confronta: lo si abbatte.

Di questo atteggiamento Pier Luigi Bersani è l’ultimo e più coriaceo interprete di una lunga schiera. Negando la realtà politica che ha davanti, ritiene che questa debba piegarsi alle sue ubbie che un tempo avremmo detto “ideologiche”, oggi le definiamo soltanto narcisistiche.

Il tentativo del leader del Pd di mettere insieme ciò che insieme non può stare condannerà per l’ennesima volta la sinistra all’irrilevanza politica, con l’aggravante che fino ad un minuto prima delle elezioni politiche, or è un mese, aveva (o credeva di avere) in mano il Paese. La colpa non è del solo Bersani, ma di una mentalità che si è consolidata nel corso dei decenni, retaggio del vecchio Partito comunista fortificato da un ventennio di delusioni scaturite dalla incomprensione dei movimenti sociali e culturali che si andavano sviluppando nel Paese, come nel resto d’Europa, e di fronte ai quali la sinistra nel suo complesso non ha saputo elaborare una strategia volta alla comprensione del “nuovo”.

Se, come è nei fatti, l’orizzonte che viene fuori dalle posizioni dei maggiori esponenti del Pd in particolare, è quello pauperista proiettato in un classismo strumentale per non alienarsi le simpatie dei sindacati, si capisce bene che il destino della sinistra è quello di essere subalterno a chiunque, perfino a Grillo che, quantomeno, rappresenta un confuso tentativo di modernizzare la politica italiana attraverso un utopismo degno del Grande Fratello (orwelliano, non televisivo). E di questa subalternità ne stiamo avendo la prova fin dal giorno dopo le elezioni. Uno spettacolo indecoroso davanti al quali non si può che restare attoniti.

Bersani ha avuto un solo pensiero in questo mese: inseguire i “grillini” sul loro stesso terreno ritenendo di portarlo dalla sua parte. Ha ottenuto chiusure, insulti, maldicenze. Un qualsiasi capo politico, trattato in questo modo, si sarebbe ritirato in un dignitoso romitaggio anche perché, al di là della costruzione di “sponda” con Cinquestelle, non ha mai elaborato un piano alternativo. Ed ora si ritrova a scantonare tra elucubrazioni prive di senso politico che vanno da possibili “larghissime intese” sul piano delle riforme istituzionali (cioè coinvolgendo tutti, come se davvero la presente stagione fosse “costituente” e non un casino istituzionalizzato) alla bizzarra idea di poter formare un governo “con chi ci sta”, presentandosi cioè in Parlamento, esponendo un programma, allineando una squadra né coesa né omogenea tanto per ingannare (così ritiene) un po’ tutti ed avviarsi felicemente verso una legislatura la cui durata sa che non potrà essere lunga.

È possibile tutto questo o non è quantomeno manicomiale soltanto pensarlo? La risposta non è difficile. E con ogni probabilità a Bersani gliela daranno a muso duro tutti coloro i quali ancora ragionano con la loro testa, anche nel suo stesso schieramento, e non sono soggiogati dal pregiudizio a cui facevo riferimento all’inizio, a cominciare da Renzi, ma non solo.

Intanto, se Napolitano non gli darà un incarico pieno, la carriera di Bersani è bella che finita. Ma quand’anche accadesse il “miracolo” per il quale i “giovani turchi” di Largo del Nazareno si sono votati alla preghiera, quale sarebbe il destino di una compagine fragile, sostenuta da pochi voti al Senato e non sempre? Certamente riuscirebbe nell’intento di ottenere i consensi quando presenterà la richiesta di ineleggibilità di Berlusconi, sul conflitto di interessi, sull’abolizione (non totale) del finanziamento pubblico a partiti, sulla legge anticorruzione. E poi?

Bersani, nella sua lucida follia, sembra dominato dal demone della conquista di una trentina di voti grillini che potrebbe anche ottenere sui singoli provvedimenti citati. Ma prima di arrivarci deve ricevere la loro fiducia che, sa benissimo, a meno che il M5S non voglia dissolversi in poche ore.

Come se ne esce? Ci stanno pensando nel Pd. E non sono pochi. Non sarà forse oggi il giorno della verità, alla direzione nazionale, ma gli scricchiolii che si avvertono vengono recepiti nitidamente dal Quirinale, il vero riferimento di chi vuole mettere fine ad una pochade che non doveva neppure debuttare.

Inutile girarci intorno: il Pd è spaccato; la sinistra non si ritrova; l’assenza di una solida leadership si fa sentire; la furbizia non paga: si può dare la presidenza della Camera dei deputati ad una signora che vi ha messo piede soltanto tre giorni prima e crede che la “buona politica” possa fiorire d’incanto immaginando di agitare una bacchetta magica, soltanto a fini di captatio benevolentia? Ecco, Bersani non ha il dono delle trovate politicamente intelligenti: è un demagogo alla ricerca di un fantomatico posto da statista. Può incantare platee di bocca buona quando con bonomia emiliana fa vedere tutto nero e per contrapposizione tutto bianco,ma la politica è un’altra cosa.

Non è l’immaginario al potere che non si è mai visto; non è la presunta superiorità morale o culturale mai dimostrata peraltro, che abilita le classi dirigenti a trascurare la realtà; non è l’arroganza con la quale si esclude o si promuove. La politica è la scienza del possibile o, a più alto livello, della ricerca del “bene comune”.

Per nostra disgrazia non è soltanto Bersani in Italia ad ignorarlo.

Gennaro Malgieri

Tutti gli errori di Bersani

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