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Il Museo Bizantino Makarios III di Lefkosia contiene circa duecentocinquanta icone datate tra l‘800 e il 1700, preziose non “soltanto dal punto di vista artistico ma anche morale ed affettivo“, come rivela il giovane Direttore Ioannis Eliades. La sua abitazione si trova nella parte della capitale occupata da 50mila militari turchi. Rivederla è sempre una ferita aperta.

Facciamo ingresso nel museo, ospitato all’interno dell’Arcivescovado, a pochi metri da quelle stesse stanze che qualche mese fa l’Arcivescovo di Cipro, Sua Beatitudine Chrisostomos II, mi ha aperto per un gioviale colloquio: molte icone sono danneggiate, altre sono scampate al vortice del mercato nero grazie all’intervento tempestivo delle autorità cipriote, su tutte l’Arcivescovado.

Mozzafiato lo sguardo di un Cristo del 1190 proveniente dalla Chiesa della Vergine di Arakos, a Lagoudhera. Ben sei le icone di San Nicola presenti, dal tredicesimo sino al diciassettesimo secolo, una delle quali protagonista in Italia nel 2006 di una mostra itinerante interamente dedicata alle raffigurazioni del Santo di Myra e protettore di Bari.

Ci spostiamo nella seconda sala. Affissa al muro vi è la prima pagina del quotidiano “Filelefteros” del 15 settembre 1979. Riguarda il caso del commercio illegale di icone perpetrato dal principe Alfred Zur Lippe, Alto Commissario Onu per i rifugiati a Cipro. Il diplomatico austriaco riuscì a portare fuori dai confini dell’isola una considerevole quantità di icone prima che fosse scoperto lo scandalo. Ben ventotto icone sono state faticosamente ritrovate presso di lui,recuperate e custodite all’interno dell’Arcivescovado. Altre sono state recentemente recuperate dagli Stati Uniti e sono esposte presso il Muso di Arte e Folklore di Lefkosia.

Il Direttore del museo Bizantino, che oltre a parlare un perfetto italiano grazie ad una laurea presso l’Università di Firenze mostra anche una pacatezza quasi surreale ma piacevole, mi conduce per le sale espositive orgoglioso del risultato acquisito in questi anni. E’grazie a giovani forze come questa che si può offrire un valido contributo alla risoluzione dell’atavico problema cipriota. E’grazie all’entusiasmo ed alla capacità di non perdersi d’animo che pareti che sembravano insormontabili stanno pian piano per essere scalate. Con umiltà e determinazione, ma anche con orgoglio e decisione.

La meraviglia e l’eccitazione per alcune strabilianti icone della Vergine lasciano il posto ad una profonda tristezza che mi avvinghia nella terza sala: su una parete fanno capolino le icone danneggiate dalla barbarie inaudita di uomini senza scrupoli e senza rispetto per un qualcosa, l’arte, che travalica posizioni politiche e concezioni religiose. Icone decapitate, sfregiate, sbeffeggiate in nome di non si capisce quale odio, quale dispregio. E poi per ottenere cosa? Odio semina odio.
L’arte è sacra in quanto tale, perché espressione di un qualcosa, un’idea, un’emozione, una devozione. Non tutti però, negli anni, l’hanno pensata in questi termini. Non tutti i popoli che nei secoli sono transitati da Cipro hanno ossequiato forme di arte come queste inimitabili e bellissime icone.

Lo sguardo della Vergine Odegitria, di un dolce imbarazzante, sembra quasi volerli perdonare. Ma a patto che questa isola meta tra gli altri anche di San Paolo ritorni ad essere un luogo di pace e soprattutto di giustizia, quella stessa giustizia che i ciprioti inseguono dal 1974.

twitter@FDepalo

Quella visita a Cipro tra icone contese e filo spinato

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