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Paradossalmente, proprio mentre l’Italia si trova in un caos politico mai conosciuto dalla fine dell’ultima guerra, il governo uscente, guidato da Mario Monti, vara la sua Strategia Energetica Nazionale, uno di quei documenti di programmazione che normalmente dovrebbe essere un Parlamento ad approvare, possibilmente con una maggioranza molto ampia. Pensare oggi ad una maggioranza ampia nel nostro Parlamento fa sorridere. E’ un documento di programmazione ed è giusto che il governo, ma soprattutto Clini e Passera, abbiano un po’ forzato la mano per portare a termine lo sforzo condotto soprattutto dai funzionari del ministero dello Sviluppo Economico.

Sempre più paradossalmente, le critiche per questa approvazione viene dagli ambientalisti, che temono che il piano possa bloccare la crescita del settore che evidentemente non avrebbe ricevuto fino ad oggi sufficienti incentivi. Gli obiettivi sulle rinnovabili, oltre che sull’efficienza energetica, sono ben più ambiziosi di quelli, già difficili, assegnatici dalla Commissione Europea con il 20-20-20. Ma si sa, in questo periodo, più si dà a quelli che alzano la voce e più questi trovano evidenza delle loro ragioni e rilanciano sulle loro pretese. Così accade che, dopo aver alzato gli obiettivi delle rinnovabili al 20% contro il 17% fissato dall’Unione Europea, gli stessi sostenitori delle rinnovabili siano contrari al documento.

I pregi della Sen

La Strategia Energetica Nazionale ha il grande pregio di aver messo al primo punto l’esigenza di ridurre i costi dell’energia dell’Italia, in particolare quelli dell’elettricità, superiori del 30% al resto d’Europa. Forse inconsapevolmente, ma viene in questo modo affermata una delle regole fondamentali dell’economia industriale, ovvero che l’energia serve prima di tutto al sistema produttivo per lavorare in condizioni competitive e, in questo modo, potere investire e creare posti di lavoro. E oggi si sa di quanto ve ne sia bisogno di posti di lavoro. Visto la pochezza delle politiche industriali di tutti i governi degli ultimi 15 anni, almeno in tema energetico, condizionate dall’ansia da liberalizzazioni e rinnovabili, la SEN è qualcosa di eccezionale.

I rilievi sulla Sen

Ovviamente le numerose ambizioni del documento lo espongono anche a facili critiche: quelle sulle rinnovabili e sull’efficienza sono fin troppo facili; più interessante, invece, è discutere su uno dei punti più qualificanti, quello della creazione di un mercato del gas con propri prezzi, disancorati da quelli del petrolio, in inglese, che fa più figo, hub.

Il nodo hub del gas

Qua il documento soffre di un vizio tutto italiano, quello di sperare che i mercati si possano creare per decreto, o, come in questo caso, con un documento di programmazione. I mercati spot si creano per un convergere di condizioni che partono in primo luogo dall’abbondanza di operatori sul lato della produzione e, in secondo luogo. dall’abbondanza di capacità di trasporto e stoccaggio che qualcuno deve aver realizzato in passato.

La situazione dell’Italia

Noi importiamo oltre l’85% del gas da Paesi produttori che non hanno nessuna intenzione di passare a mercati spot, mentre l’altro 15% viene da una produzione nazionale che sta calando, perché in Italia, paese del “tutti contro tutti”, il gas si usa, ma non si trivella. Proprio la produzione nazionale, che potrebbe tranquillamente raddoppiare, darebbe un forte impulso al mercato spot, molto di più di qualsiasi rigassificatore, punto su cui il documento finale si è incartato.

Il giudizio complessivo

In effetti all’aumento della produzione nazionale di idrocarburi punta, seppure timidamente, anche la Sen ed è per questo che il giudizio complessivo è positivo. E’ un documento di spessore politico, fatto da un governo tecnico, in un momento di politica calpestata.

 

Davide Tabarelli

Elogio pacato della Sen, documento politico di un governo tecnico

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