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Qualcosa ha legato Roma a Francoforte, nel primo pomeriggio: l’incertezza o, per dirla con le parole del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, la paura. Nelle ore in cui Giorgia Meloni atterrava a Washington per essere ricevuta dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump per aprire la prima breccia nel muro dei dazi, dal Senato, dove Giorgetti è stato ascoltato in merito al Documento di finanza pubblica, l’ex Def per intendersi, si levava una preoccupazione, a tratti misurata, per il futuro dell’economia reale italiana e continentale. Contemporaneamente, la Banca centrale europea tagliava ancora il costo del denaro, portandolo al 2,25% ma con una postilla, poi neanche tanto tale: l’incertezza dentro e fuori l’Europa non è mai stata così tanto elevata.

Partendo dall’audizione di Giorgetti, il titolare del Tesoro ha fatto una premessa, rassicurando chi è ancora convinto che l’Italia non faccia la sua parte sul versante della Difesa. E lanciando un messaggio alla Casa Bianca, proprio nel giorno della visita di Meloni. “Con riferimento alle spese per la difesa e, più in generale, la sicurezza del Paese, il lavoro di ricognizione secondo la metodologia Nato, effettuato con particolare scrupolo, lascia ritenere che già da quest’anno saremo in grado di raggiungere l’obiettivo del 2% del Pil assunto”.

E questo perché “siamo oltremodo coscienti anche alla luce delle attuali tensioni, dell`esigenza di incrementare tali spese nei prossimi anni”. Scongiurato, comunque e almeno per il momento, la possibilità di scorporare le spese militari dal Patto di stabilità, più volte chiesta all’Ue dallo stesso Giorgetti. “Per ora il governo non utilizzerà la deroga al patto di stabilità per le spese militari. Riteniamo sia giusto aspettare il vertice Nato di giugno 2025 per capire quale è l’orientamento generale. Poi significa fare delle scelte perché se si aumentano le spese militari non si aumentano altre spese come la spesa per la sanità o altro”.  E dalla Casa Bianca è arrivato un primo segnale. “Tutto quello che l’Italia può fare per superare la soglia del 2% del Pil per le spese della difesa è molto necessario”, ha detto un funzionario statunitense in un briefing con i giornalisti, prima dell’incontro alla Casa Bianca tra Meloni e Trump. “Certamente la questione sarà affrontata. Ci sono otto Paesi della Nato che non rispettano la soglia del 2%, l’Italia sfortunatamente è uno di questi”.

Poi però una leggera nebbia ha cominciato a calare sulle parole del ministro. “Lo scenario è in continua evoluzione. La politica sui dazi degli Usa, anche dopo la pausa di 90 giorni, fa sì che il quadro complessivo resta, comunque, estremamente incerto. Per questo motivo  le nostre analisi interne sono orientate alla massima cautela. Anche lo scenario sottostante l’aggiornamento del quadro macroeconomico previsivo (nel Dfp, ndr), che tiene conto dell’annuncio sulle tariffe reciproche del 2 aprile da parte dell’amministrazione statunitense, è da ritenersi prudenziale”.

Non è, però, tempo di abbandonarsi alla disperazione. “Ciò nonostante ricorderei che sembra prospettarsi uno scenario meno avverso di quello messo in conto nelle previsioni ufficiali; più favorevole in termini sia di possibile esito finale della struttura dei dazi a livello internazionale, sia di variabili esogene, quali i prezzi dell’energia e i tassi d’interesse, che condizionano la crescita. Il quadro macroeconomico è pertanto soggetto anche a rischi positivi”.

Un’altra parola ricorsa durante l’intervento del ministro a Palazzo Madama, è stata paura. Qui però c’è da tirare in ballo l’economia reale, ovvero i consumi. “Il maggiore potere di acquisto non si traduce automaticamente in consumi, ma aumenta la propensione al risparmio, perché la gente ha paura, accendono la tv e vedono la guerra tutti i giorni e la guerra commerciale, il potere di acquisto mediamente è aumentato, lo dice Istat, ma non si traduce in termini di consumi, poi io spero che prendano i Btp risparmiando di più, abbiamo richieste 10-20 volte l’offerta, facciamo invidia agli Usa che faticano a piazzare i Treasury, vedi come cambia il mondo”.

Fin qui l’Italia. Poi c’è la politica monetaria, ovvero la Bce. La quale ha sì, tagliato di 25 punti base i tassi, dando altro fiato ai mutui. Ma avvertendo dai rischi della guerra commerciale scatenata dagli Statu Uniti. “L’economia dell’area euro ha sviluppato una certa resilienza agli shock globali ma le prospettive di crescita si sono deteriorate a causa dell’aumento delle tensioni commerciali”, ha chiarito il presidente Christine Lagarde. “L’aumento dell’incertezza è probabilmente destinato a ridurre la fiducia tra le famiglie e le imprese, e la reazione avversa e volatile dei mercati alle tensioni commerciali è verosimilmente destinata ad avere un effetto restrittivo sulle condizioni di finanziamento. Questi fattori potrebbero ulteriormente gravare sulle prospettive economiche dell’area dell’euro”. Tutto, adesso, torna.

 

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