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Un Paese privo di sovranità monetaria – come l’Italia – è in balia dei mercati finanziari, mentre non riesce a crescere perché i suoi prodotti non sono competitivi. Si potesse tornare alla Banca d’Italia che “stampa moneta” e alla Lira che si svaluta quando opportuno, non saremmo dove siamo. Dunque usciamo dall’euro prima che sia troppo tardi – dicono alcuni. Il ragionamento sembra di buon senso, ma le cose non sono così semplici.

L’economia “ottimale”
Partiamo dalle aree economiche ottimali. Un’area economica è “ottimale” se ha un mercato dei prodotti comune; se ha un mercato dei capitali comune; se ha un mercato del lavoro comune; se ha un bilancio fiscale comune. L’euro area soddisfa i primi due requisiti ma non gli altri. Prendiamo gli Stati Uniti. Se non c’è lavoro nell’area occidentale, la gente va in quella orientale. Se l’area occidentale è mal messa ecco che il bilancio federale trasferisce i fondi verso quell’area. I bilanci statali non possono andare in deficit.

La differenza con gli Stati Uniti

La prima differenza con gli Stati Uniti è che, se il Portogallo va male e l’Olanda va bene, è difficile che i portoghesi si trasferiscano in massa nei Paesi Bassi. La seconda differenza sempre con gli Stati Uniti è che i bilanci statali dei Paesi dell’euro-area possono andare in deficit, sebbene vi siano i vincoli di Maastricht. Non esiste nell’euro-area un governo centrale che copra i deficit di alcuni indebitandosi con tutti. La Germania non garantisce che pagherà il debito degli altri Paesi, insomma. E dunque, quando gli altri Paesi si indebitano troppo, ecco che i mercati li “puniscono”, ossia chiedono un “premio per il rischio”.

Il debito e le spesse pubbliche
L’Italia ha visto dimezzare il costo del debito. Nel 1996, quando è iniziata la convergenza nell’euro, il rendimento del BTP era intorno al 9%. Anni dopo – nel 2010 – è arrivato al 4%. Oggi è intorno al 4,5%. Insomma abbiamo avuto un dimezzamento del costo del debito. Facendo i conti, si è avuto un risparmio da interessi cumulato di 500 miliardi. Se questo dimezzamento del costo del debito fosse avvenuto a parità di spese pubbliche, oggi avremmo un debito inferiore di 500 miliardi. Era la grande occasione per assorbire il debito che si era formato negli anni Settanta e Ottanta, ai tempi della costruzione accelerata dello Stato Sociale, ma così non è andata.

L’euro ha funzionato, nel senso che ha portato alla convergenza dei rendimenti delle obbligazioni e dell’inflazione. Se non ha portato alla compressione del debito dei Paesi mal messi, è responsabilità di questi ultimi. Dunque – per colpa nostra e non dell’euro o della speculazione – abbiamo un gran debito.

Il rallentamento della crescita
Passiamo all’economia che non cresce. L’economia industriale italiana ha registrato negli ultimi anni dei guadagni salariali ma non di produttività, e dunque un incremento non modesto del costo del lavoro (per unità di prodotto). La Germania ha visto i salari salire quanto la produttività e dunque non ha avuto un incremento del costo del lavoro (per unità di prodotto). La crescita dei salari maggiore della crescita della produttività è una responsabilità italiana e non un complotto tedesco.

Se la Lira tornasse, dovremmo avere una svalutazione che ruota intorno alla perdita cumulata di produttività, quindi intorno al 25%. Se si fosse sicuri che torna la Lira, il debito pubblico dovrebbe avere un sovra rendimento pari alla svalutazione attesa, dunque nell’ordine di un 25% (la differenza cumulata di costo del lavoro per unità di prodotto fra Italia e Germania). Avremmo a fronte di una svalutazione attesa del 25% anche il ritiro cospicuo dei depositi. Le banche non avrebbero perciò un passivo sufficiente per finanziare le imprese.

Sintesi di un’analisi più ampia pubblicata sul sito del Centro Einaudi

E se tornassimo alla lira?

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