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Il risultato del voto ha tirato fuori dalle urne la peggiore Italia degli ultimi anni. Un Paese diviso, rancoroso, incapace di confrontarsi.

I dati micro e macro economici gridano in maniera sempre più forte che l’Italia sta consumando le ultime risorse a disposizione di famiglie e imprese per fronteggiare la difficile congiuntura economica.

I problemi del Paese sono però molto più profondi di quelli già gravissimi che riguardano l’economia e coinvolgono una drammatica crisi istituzionale e sociale.

Le Istituzioni si reggono da sempre su un delicato equilibrio, già precario da tempo in Italia, che rischia ora di saltare definitivamente. Anni di attriti e attacchi incrociati hanno trasmesso l’idea che fossero un fardello corrotto e inutile, un carrozzone antidemocratico al quale sarebbe stato facile, oltre che utile, rinunciare.La spallata finale è arrivata dal risultato delle elezioni, che ha sancito la fine definitiva della II Repubblica e di un falso bipolarismo, scardinando non il sistema dei partiti – l’unico possibile per un moderno Paese democratico – ma l’idea che i cittadini debbano accettare supinamente le storture della democrazia rappresentativa.

Ora, come detto da Pierluigi Bersani dopo aver ricevuto l’incarico dal capo dello Stato, la via è stretta e sicuramente poco agevole. Per percorrerla ci sarà bisogno di poco tatticismo, scelte concrete, ma anche di un orizzonte che ridesti un centrosinistra, stordito per un colpo che rischia di affossarlo.

La via è così stretta che per il Pd la più grande difficoltà sarà soprattutto, paradossalmente, quella di percorrerla da solo.

Come in tutti i grandi cambiamenti, però, il modo in cui le stagioni si avvicendano non è per niente secondario. E in questo senso, occupare senza un progetto solido, senza maggioranza e con un terzo dei voti le istituzioni di Camera e Senato è stata una mossa poco lungimirante che ha anteposto l’orgoglio alla realpolitik. Un errore consueto per la sinistra italiana.

Ma c’è ancora tempo – ogni giorno meno – per rimediare.

Il presidente Giorgio Napolitano è parso quasi “stizzito” per l’ostinazione di Bersani, forse comprensibile umanamente, davanti alla quale ha dovuto capitolare concedendo al segretario dei democratici almeno un tentativo, probabilmente dovuto.

Qualunque fortuna abbia il pre-mandato esplorativo affidato a Bersani dal presidente della Repubblica – data l’evidente impossibilità di formare un governo che si regga sulla fiducia dei neoeletti “cittadini” del Movimento 5 Stelle ai quali il Pd vorrebbe dare il classico “bacio della morte” – l’unica strada da imboccare rimane quella del coinvolgimento di tutte le forze responsabili per una nuova stagione di riforme e di interventi indispensabili all’interesse del Paese.

I numeri non mentono mai e in questo caso dicono inequivocabilmente che l’alternativa a nuove elezioni passa da una pax con l’area montiana e il Pdl, chiedendo di volta in volta ai grillini il sostegno a singoli punti.

Una scelta sofferta, drastica, ma anche coraggiosa, che penalizzerebbe Bersani sul piano personale, ma lo valorizzerebbe su quello politico. Iniziare adesso un’estenuante diatriba interna al partito e una nuova rincorsa ai senatori in Parlamento, sarebbe estremamente dannoso e non condiviso dagli italiani che con l’acqua alla gola chiedono solo di essere governati. Le responsabilità del Partito Democratico sono grandi in questo momento, forse maggiori di quelle precedenti al voto.

Bersani e la classe dirigente dell’intero partito possono decidere se partecipare a un appuntamento al buio o essere presenti lì dove si fa la Storia.

Il Pd è pronto a raccogliere questa sfida?

La via stretta di Bersani passa da larghe intese

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