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Il Paese vive una crisi drammatica ma sembra che ad una parte degli italiani non importi. Si continua a pensare, e a votare, sulla base di vecchi schemi, che volevano una contrapposizione destra/sinistra che non ha più senso (se mai ce l’ha avuto).

Visto che è ormai chiaro a tutti che in assenza di crescita economica (quella vera, ovviamente) i problemi sociali non possono che esplodere, gli italiani dovrebbero chiedere ai politici un confronto serio sui problemi economici del paese, in attesa di ottenere, possibilmente, proposte e soluzioni fattibili.

Sembra importante, pertanto, dare un po’ di numeri, giusto per chiarire i termini del dibattito.

Secondo i dati riportati nell’ultima edizione dell’Economist, l’Italia ha attraversato ben 14 anni di crescita economica piatta, seguiti da due recessioni durissime a partire dalla fine del 2007. In termini reali, il PIL pro capite italiano del 2013 è inferiore ai livelli del 1999, cioè l’italiano medio è più povero oggi di quanto non lo fosse 14 anni fa. Solo il Portogallo in Europa riesce ad eguagliare tale record negativo.

I numeri sulla crescita

Nella classifica globale della crescita economica del PIL pro capite, l’Italia è 169esima su 179 paesi, superata da paesi al collasso quali Haiti, Eritrea e Zimbabwe.

La zavorra del debito

Il debito pubblico italiano è al 130% rispetto alla ricchezza nazionale, la disoccupazione è pari all’11% ma raggiunge il 36% per i giovani. Il paese è ostaggio di un mercato del lavoro diviso, dove da una parte ci sono lavoratori a tempo indeterminato e dall’altra ci sono gli “outsiders”, generalmente donne, giovani ed immigrati, destinati all’eterno precariato.

La classifica sulla competitività

Non è finita qui. L’Italia occupa la 42esima posizione nella lista dei paesi più competitivi del mondo stilata dal World Economic Forum, distante anni luce dagli altri paesi importanti dell’Unione Europea e dagli Stati Uniti, e superata anche da paesi come Estonia, Repubblica Ceca, Polonia e Oman.

E’ 73esima nella lista dei Paesi in cui è facile fare business, dietro a “potenze” quali Romania e Bulgaria. Nessun paese europeo, Grecia esclusa, riesce a fare peggio.

Gli investimenti stranieri

Gli investimenti stranieri nel Paese sono molto inferiori rispetto a quelli destinati ad altri paesi europei che dovrebbero essere nostri pari, quali Gran Bretagna, Francia o Germania.

Il peso della tassazione

In compenso l’Italia ha alcuni tristi primati: il complesso della tassazione sulle imprese, il cosiddetto “total tax rate“, secondo i dati della Banca Mondiale è al 68,5%, il livello più alto nell’Unione Europea; risulta terza in Europea per tasso di corruzione, superata solo da Bulgaria e Grecia, secondo le stime fornite da Transparency International; ha inoltre il primato europeo assoluto per più basso di tasso di occupazione femminile, con uno spreco di risorse umane veramente deprimente.

Possibile che gli italiano abbiano ancora voglia di farsi governare dalle stesse persone responsabili di questo scempio?

I punti di forza

C’è speranza? Io credo di sì. Il debito pubblico è imponente ma il deficit è basso, al netto della spesa di interessi sul debito pubblico, il bilancio primario è in avanzo del 2.6% rispetto al PIL, le famiglie italiane hanno enormi risorse derivanti dal risparmio, abbiamo un buon clima, tradizioni culinarie e beni artistici che chiedono solo di essere valorizzati, anche alla luce della crescente domanda di turismo proveniente dalle nuove classi medie asiatiche. Restiamo una potenza industriale con una rete di piccole-medie imprese che vanno avanti, nonostante tutto e tutti. Infine, basterebbe riportare alla luce una parte dell’economia sommersa per ristabilire un po’ equità nell’imposizione fiscale (che pesa in maniera sproporzionata su lavoratori dipendenti e pensionati) ed abbassare la tassazione; legalità e la lotta all’evasione dovrebbero essere pertanto priorità assolute per qualsiasi formazione politica che aspiri a governare.

Insomma, gli argomenti di discussione e di confronto non mancano, e sono argomenti molto seri. Speriamo che non manchi, invece, un po’ di serietà nel popolo italiano.

(l’autore è avvocato a Londra e dottorando di ricerca presso la Università di Roma, Tor Vergata)

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