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Alla fine della prima parte, quando il direttore d’orchestra (tedesco di origine persiana e di religione “parsi” ) ed il pianista palestinese, quasi coetanei, si sono abbracciati, le circa tremila persone che affollavano la Sala Santa Cecilia si sono commosse. È il segno non che “la guerra è finita” (titolo di un indimenticabile film di Alain Resnais del lontano 1967) ma che “la guerra può finire”. Un segno eloquente, anche se meno noto, dei concerti dell’Orchestra Divan fondata da Daniel Barenboim e composta di giovani musicisti israeliani e palestinesi.

Il concerto del 15 dicembre, replicato il 17 ed il 18, era un concerto a cui si va perché si è abbonati. Tutto imperniato su musiche di Beethoven ben note al grande pubblico e sovente eseguite dalla sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, comprendeva l’ouverture “Coroliano”, il “Concerto per piano ed orchestra” e la “Quarta Sinfonia”. Per il grande pubblico, l’elemento trainante era la presenza del pianista Radu Lupu. Per i più raffinati, il debutto a Roma di David Afkham, il quale a solo 27 anni ha vinto il premio per i giovani direttori d’orchestra di Salisburgo ed ha già una brillante carriera con un carnet di impegni per diversi anni.

Afkham è nato in Germania nel 1983 da genitori giunti dall’Iran pochi anni prima, quando l’islamismo scita cominciava a rendere la vita difficile a comunità monoteiste come i parsi o “zoroastriani” seguaci del Mazdeismo, ora, come gli ebrei, sparpagliati per il mondo e con cui hanno molti tratti in comune. Navigando su Internet si apprende che David Afkham è un “parsi” – pare – diventato cristiano come il resto della sua famiglia.

Poche ore prima del concerto, Radu Lupu ha dovuto annullare, per ragione di salute, la sua partecipazione tanto alla serata quanto alle repliche. Su suggerimento di Afkham, non è stato modificato il programma ma chiamato un giovane pianista palestinese , Saleem Abdoub Ashkar, nato a Nazareth nel 1976, già affermato in tutto il mondo ma per la prima volta a Roma.

Due giovani, ambedue di origini medio – orientali, alle prese con un Beethoven altamente emotivo. “Coroliano” è un solo movimento: “allegro con brio” in do maggiore e David Afkham vi ha messo tutta la vivacità ed il vigore che appartengono alla sua età. La “quarta sinfonia in sì bemolle maggiore” (che ha occupato tutta la seconda parte della serata) è un omaggio di Beethoven al conte Franz von Oppersted: un lavoro di puro intrattenimento, nei canonici quattro movimento, elegante e raffinato da sembrare settecentesco (è del 1807). Afkham lo ha intriso di melanconia, lo è intriso di melanconia specialmente nell’”adagio” del secondo movimento.

La meraviglia, ed il nesso tra i due “pezzi”, è stato il concerto in do maggiore quando il parsi ed il palestinese hanno lavorato insieme – uno guidando l’orchestra, l’altro alla testiera – dandosi occhiate furtive piene di complicità concluse con l’abbraccio mentre il pubblico applaudiva. Il primo movimento (“allegro brio”) è diventando un inno alla giovinezza pieno di fervore. Il secondo (“adagio”) il canto melanconico di cui a cui non è data la possibilità di avere una Patria. Il terzo (“rondò”, allegro scherzando), una promessa di un mondo senza guerra. Afkham e Ashkar hanno sviscerato the politics (l’essenza politica) del lavoro. Come fa, Barenboim quando sale sul podio della Orchestra Divan (dove suona il violino il fratello di Saleem Abdoub Ashkar).

Il 20, 21 e 22, Lorin Maazel guiderà i complessi della sinfonica di Santa Cecilia ed un gruppo di solisti di qualità nell’annuale Concerto per la Pace che, quest’anno, consiste nell’esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven.

Quello di Afkham e Ashkar è già stato un eloquente concerto la pace. Un giovani parsi ed un giovane palestinese ci hanno ricordato che per Platone, la musica è la più alta delle filosofie e che ad introduzione de “La notte dell’Epifania”, William Shakespeare afferma: “Se la musica è cibo dell’amore, continua a suonare”. È quale amore è più forte di quello per la Pace e per l’Alto e, quindi, per il proprio prossimo? Il 16 aprile 2007 al termine del concerto per il suo 80simo compleanno, Papa Benedetto XVI ha detto:“Sono convinto che la musica sia il linguaggio universale della bellezza, capace di unire tra loro gli uomini di buona volontà su tutta le terra e di portarli ad alzare lo sguardo verso l’Alto ed ad aprirsi al Bene ed al Bello assoluti, che hanno la loro ultima sorgente in Dio stesso”.

La guerra può finire

[gallery] Alla fine della prima parte, quando il direttore d’orchestra (tedesco di origine persiana e di religione "parsi" ) ed il pianista palestinese, quasi coetanei, si sono abbracciati, le circa tremila persone che affollavano la Sala Santa Cecilia si sono commosse. È il segno non che "la guerra è finita" (titolo di un indimenticabile film di Alain Resnais del lontano 1967)…

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