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Yasheng Huang, in un articolo pubblicato su Project Syndicate, mette finalmente in relazione le attuali serie difficoltà in cui versa l’economia cinese con un fattore sinora del tutto trascurato da economisti e media. Tutta l’attenzione è, infatti, dedicata all’uscita dalla rigida politica di chiusure dello “zero Covid” e alle difficoltà sanitarie post pandemiche connesse anche alla qualità “non eccelsa” dei vaccini cinesi che nella fase della riapertura hanno m provocato numerosi decessi probabilmente evitabili. Non c’è dubbio che questi fattori abbiano pesato e pesino, ma nessuno ha messo in evidenza un altro aspetto per niente trascurabile. La Cina, che nel dicembre 2022 ha riaperto le porte al mondo, non poteva più disporre di una realtà che ha avuto un ruolo determinante per i suoi successi globali nel campo dell’innovazione tecnologica e dell’espansione economica.

Il Dragone dal 2020 (anno in cui è stata introdotta la legislazione repressiva in materia di sicurezza nazionale) non ha, infatti, più a disposizione Hong Kong – grande hub storicamente fondamentale per l’integrazione commerciale e finanziaria della Cina nell’economia e nei mercati finanziari internazionali.

Il ruolo di Hong Kong, prima e dopo il take-over dal Regno Unito del 1997, non spiega ovviamente tutto. Ma è impossibile immaginare il grande salto di qualità della Cina negli ultimi 30 anni senza tener conto del ruolo fondamentale svolto da Hong Kong come porta della Cina verso il mondo e del mondo verso la Cina. Non a caso, quasi tutte le grandi imprese più innovative sono da sempre domiciliate a Hong Kong per la grande libertà di iniziativa che l’ex colonia britannica a loro consentito.

Hong Kong era una piattaforma per i più validi e innovativi imprenditori cinesi e contemporaneamente una città che garantiva la fiducia e l’operatività degli investitori stranieri. Dopo la repressione del 2020 ad aggravare la situazione c’è stata anche una fuga di cervelli che ha avuto un impatto molto negativo su Shenzhen (e in parte anche su Shanghai).

Per uscire dalle grandi difficoltà del settore immobiliare, occupazionale e finanziario sarebbe utilissimo rivedere gli errori commessi dal governo cinese su Hong Kong allo scopo di reprimere e impedire le proteste degli studenti. Nell’interesse della Cina sarebbe utile e urgente cambiare la legge sulla sicurezza e fare nuovamente dell’isola una “città aperta” in cui libera iniziativa, certezza del diritto e libertà culturali e religiose possano nuovamente dispiegarsi come nei decenni passati.

Dal 1987 in poi sono stato molte volte per ragioni di lavoro a Hong Kong. Ogni anno c’era una sorpresa, un nuovo progetto architettonico, tecnologico, artistico, musicale. Dopo il take over del 1997 (nonostante le preoccupazioni di molti compreso l’ultimo governatore britannico, Chris Patten) Pechino ha continuato ha favorire gli scambi internazionali e lo straordinario sviluppo tecnologico e scientifico delle università e delle istituzioni culturali e religiose. Mentre la nomenclatura cinese è oggi alla prese con crescenti difficoltà economiche e in cerca di terapie efficaci, forse l’idea di “ripartire da Hong Kong” forse potrebbe essere una delle strade da percorrere.

Cosa c’entra Hong Kong con la crisi cinese? Scrive Mayer

Dopo la stretta del 2020 la Cina, che nel dicembre 2022 ha riaperto le porte al mondo, non poteva più disporre di una realtà che ha avuto un ruolo determinante per i suoi successi globali nel campo dell’innovazione tecnologica e dell’espansione economica. E ora?

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