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La Corte di Cassazione ha riaperto il caso Abu Omar. Il mullah islamico-radicale fu rapito dalla Cia a Milano il 17 febbraio 2003, e di lì trasportato in Egitto. Vertici e capicentro del Sismi dell’epoca saranno dunque processati, rovesciando la decisione della Corte d’Appello che nel 2010 aveva apposto il segreto di Stato, e dunque il non luogo a procedere per Nicolò Pollari (direttore), Marco Mancini (responsabile centri Sismi del Nord Italia) e gli altri alti funzionari della nostra intelligence coinvolti. Ciò che invece è stato meno sottolineato, almeno finora, è la conferma della condanna per i 23 funzionari della Cia, già comminata in appello.
 
Il dispositivo della sentenza non è stato ancora reso pubblico, ma è facile capire che, al di là del silenzio del mondo politico, quest’ultimo aspetto giudiziario aprirà un problema politico di non poco conto. “Non in senso lato” – ragiona con Formiche.net Alessandro Politi, analista politico e strategico – “perché Obama sa che la guerra al terrore è stata condotta con metodi extragiudiziali”. L’attuale inquilino della Casa Bianca condivide il giudizio della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che nel 2010 ha condannato la prassi delle extraorinary renditions in una fondamentale sentenza riferita a un leader islamista tagiko (Iskandarov c. Russia). La geografia del controterrore è mutata, sotto la sua amministrazione, con la chiusura dei vari siti “black holes” dove i prigionieri, sequestrati in Afghanistan e in altri teatri centrali dell’offensiva post 11-settembre, venivano sottoposti a “ill-treatment”, in pratica a tortura. Ma “in senso stretto”, il problema esiste, aggiunge Politi.
 
L’estradizione degli agenti Cia appare “altamente improbabile”. La Casa Bianca esprimerà “rincrescimento”, ma poco altro. La palla, a questo punto, passa alla diplomazia italiana. Che non potrà non tener conto di due aspetti, apparentemente contradditori, che sono leggibili anche nel modo in cui la stampa Usa ha trattato la vicenda. Per un New York Times che evidenzia come questa prassi sia ormai cessata, c’è un Washington Post che ritiene la “maratona giudiziaria” una causa di tensione bilaterale. Infine lo Usa Today valuta che, vista la vicina scadenza elettorale, la questione sarà trattata dal prossimo governo. Anche perché i tempi tecnici sono lunghi, e in passato i nostri esecutivi (di destra e di sinistra) non è che abbiano fatto un granché per velocizzarli.
 
“Non mi aspetto che Monti faccia una dichiarazione chiara e inequivocabile sulla bontà di questa sentenza”, dice Politi, “e se qualche ministro volesse esternare a tutti i costi, gli consiglio di pensarci sopra venti volte”. In realtà, perché non sia una pietra d’inciampo sulle buone relazioni Usa-Italia, entrambe le parti devono fare qualcosa. Un segnale importante da Washington è stato dato con la chiusura dei black holes. Resta da chiedersi se Romney sia in vena di inseguire anche questo piccolo “setback” dell’attuale presidente, come ha fatto per Bengasi, cosa che comunque Politi esclude, visti gli attuali problemi della campagna presidenziale.
 
Non si può negare che il clima geopolitico sia cambiato rispetto a quello di dieci anni fa. Nell’Europa del 2003, il rapimento di Abu Omar andava a surriscaldare un clima di opposizione crescente, a volte frontale, al ruolo della leadership globale Usa che si preparava, contro il veto francese, ad attaccare l’Irak. Al di là delle contingenze storiche, però, si vuole confermare che l’occidente non può fare ricorso a operazioni clandestine illegali di questo tipo, pena la negazione di se stesso: la violenza è sempre espressione non di forza, ma di debolezza, anche per l’intelligence e quando la violenza avviene sotto le insegne dello Stato, non può avere alcuna ragione più forte della legge.
 
Per Stefano Dambruoso, magistrato esperto in terrorismo internazionale e primo pm ad indagare su Abu Omar, “la sentenza della Cassazione va sempre eseguita e rispettata, e i profili giuridici che vi si possono leggere appaiono condivisibili”. In essa si legge la conferma dell’illiceità di “pratiche considerate, dal precedente governo americano, utili azioni contro il terrorismo”. Oltre a questo il magistrato nota fra le righe della sentenza un input a “rivisitare la normativa nazionale sul segreto di Stato”.
 
 
 

Metti una sentenza tra Roma e Washington

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