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A Pechino in questi giorni la temperatura è saldamente sopra i 30 gradi centigradi. Eppure, se il metro di misura è l’economia, in Cina fa un gran freddo. O forse no? Partendo dalla verità quella ufficiale e di partito, gli ultimi dati sul Pil del Dragone, lasciano poco spazio all’interpretazione. Secondo i numeri pubblicati lunedì scorso, la Cina ha segnato un più 0,8% nel secondo trimestre, numero che impallidisce rispetto al 2,2% del periodo gennaio-marzo. Su base annua, la crescita del Pil è stata invece del 6,3%, un dato solo apparentemente incoraggiante, visto che fotografa l’emersione dell’economia cinese dal periodo asfissiante delle restrizioni zero Covid. E lo yuan continua a scivolare rispetto al dollaro.

Messa così, le conclusioni sono due. Primo, nel confronto tra trimestri l’economia rallenta, mentre nel raffronto annuo cresce anche se c’è da considerare la componente della fine della zero Covid policy che nei fatti ha dopato il trend. Forse, però, il punto è un altro. E cioè che a detta di non pochi osservatori, a cominciare dalle agenzie di rating, Pechino non la racconta giusta. Le reali condizioni della crescita cinese potrebbero essere diverse, e dunque peggiori, da come si evince dai dati ufficiali.

Secondo alcuni esperti interpellati dal Financial Times, il dato annuo nel secondo trimestre, avrebbe dovuto essere del 6,8%, contro il 6,3% certificato dall’Ufficio di statistica cinese. Ora, la discrepanza è imputabile alle revisioni ufficiali di non meglio precisati “adeguamenti stagionali” da parte dello stesso Ufficio nazionale di statistica. Ed è proprio questo il problema che non convince gli economisti: perché Pechino non spiega come si è arrivati a un dato, per giunta minore, piuttosto che un altro?

La mancanza di spiegazioni dettagliate sul processo di calcolo del Pil, fa capire come ci sia una certa difficoltà nell’analizzare le statistiche della Cina in un momento in cui la traiettoria della sua economia è vista come cruciale per la crescita globale. “Ecco dove siamo al momento. Quanto è cresciuta o no l’economia nel secondo trimestre? Questa è una domanda molto importante sia per i mercati che per i responsabili politici”, ha affermato Louis Kuijs, capo economista asiatico di S&P Global. “Tutti si chiedono se l’economia cinese è in fase di stallo. Non è facile dare una risposta affidabile”.

A conti fatti, la Cina è “certamente diventata più una scatola nera, dove non si sa quali siano i reali numeri circa l’andamento dell’economia”, ha affermato Shehzad Qazi, chief operating officer di China Beige Book, che pubblica indicatori economici alternativi basati su sondaggi di società private nel Paese. “I sondaggi hanno costantemente implicato un consumo più debole di quanto mostrano i dati ufficiali”. Allora, forse, aveva ragione Alberto Forchielli, economista e imprenditore, gran conoscitore di cose cinesi, quando a Formiche.net spiegava come anche sul debito, così come per il Pil, Pechino faceva il gioco delle tre carte: “La Cina il debito se lo aggiusta come vuole, le banche sono dello Stato dunque è facile giocare coi numeri”.

 

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