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La corsa per la presidenza è ormai iniziata ed entrambi i contendenti sono molto attenti a ponderare le implicazioni elettorali delle loro dichiarazioni. Stando a gran parte dei sondaggi, Obama rimane favorito, anche se di poco. E questo pone due domande: perché Obama abbia ancora le chance maggiori di rimanere alla Casa Bianca e come mai la competizione sia così aperta, molto più aperta di quanto non si pensasse solo alcuni mesi fa.
 
I vantaggi di Obama, innanzitutto. Che sono in una qualche misura strutturali e si legano sia alla politica statunitense sia alla trasformazione demografica degli Stati Uniti. Il presidente eletto in carica – l’incumbent – gode storicamente di un vantaggio di partenza che poche volte (solo quattro nell’ultimo secolo) è stato rovesciato. A maggior ragione se la mappa elettorale sembra premiarlo, come è oggi per Obama. Stando alle proiezioni di cui disponiamo, Obama sarebbe certo di conquistare tra i 230 e i 240 grandi elettori, Romney attorno ai 170, mentre gli incerti – gli elettori dei famosi swing states che oscillano tra una parte e l’altra – sarebbero 130.
 
In altre parole, mancano solo 30/40 grandi elettori a Obama per raggiungere la fatidica soglia dei 270, laddove Romney ha bisogno di un centinaio di essi, il che vuol dire conquistare gran parte degli swing states. E ciò permette a Obama di predisporre diverse strategie elettorali, sacrificando eventualmente degli Stati per concentrare risorse e impegno su quelli dove vi sono più possibilità di successo. Dove è cioè maggiore la sua competitività, accentuata peraltro dalle trasformazioni demografiche e dall’importanza crescente di un voto ispanico che continua a privilegiare il partito democratico. Ed è anche per mobilitare e conquistare quel voto (e quello dei giovani) che Obama ha deciso, con un decreto presidenziale, di sospendere la deportazione di quasi un milione di immigrati illegali under-30, giunti negli Usa prima del compimento dei sedici anni e rimasti nel paese per almeno 5 anni. Una mossa fortemente criticata dai repubblicani, che accusano il presidente di aver esautorato il congresso delle sue prerogative, ma che potrebbe pagare un alto dividendo elettorale. Il numero di ispanici che possono votare è infatti cresciuto del 60% tra il 2000 e il 2010, passando da 13.2 a 21.3 milioni. Una crescita distribuita su varie parti del Paese, ma assai forte proprio in alcuni degli swing states destinati a essere decisivi in novembre: in Arizona, dove la popolazione ispanica è aumentata di 600mila persone, passando dal 25% al 30% del totale, in North Carolina (420mila, dal 5 all’8%) e in Colorado (400mila, dal 17 al 21%).
 
È un voto, questo, che il partito repubblicano fatica ancora a intercettare, vuoi per le sue posizioni in materia d’immigrazione vuoi per la sua persistente omogeneità culturale, “etnica” e di genere: il contrasto tra le primarie democratiche del 2008, in cui si sfidavano un afro-americano e una donna, e quelle repubblicane del 2012, dove sono rimasti ben presto in corsa quattro uomini bianchi over50 è da questo punto di vista emblematico.
 
E allora perché Romney ha ancora molte chance di conquistare la presidenza e, anzi, la sfida appare oggi quanto mai aperta? Tre risposte possono essere offerte. La prima, tanto scontata quanto vera, è che la difficile situazione economica alimenta un giudizio non positivo sull’operato di Obama, solo in parte compensato da una politica estera che raccoglie invece ampi consensi nel Paese. Con un tasso di disoccupazione superiore all’8% diventa assai difficile per un presidente essere rieletto (l’ultimo a riuscirci fu Franklin Delano Roosevelt nel 1936). L’insoddisfazione verso Obama è inoltre acuita dall’eccesso di aspettative che il suo successo, e le sue promesse, avevano alimentato. Infine, la straordinaria elezione del 2008 ha indotto a sopravvalutare l’effettiva portata storica della vittoria di Obama. Con troppa fretta si è parlato di riallineamento elettorale, laddove su temi nodali – a partire da quello cruciale delle tasse – tutti i sondaggi indicavano una chiara persistenza nell’opinione pubblica di posizioni conservatrici.
 
In altre parole, Obama si confronta con un’America che è cambiata meno di quanto non si credesse quattro anni fa e con una situazione economica che avvantaggia elettoralmente il suo avversario. Può compensare queste debolezze solo mobilitando appieno il suo elettorato – in particolare quello giovane e quello femminile – e cercando di sfruttare appieno i vantaggi strutturali di cui gode. Ed è su questo che si gioca la sua possibilità di essere confermato alla Casa Bianca.

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@angeloscola

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