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Il nostro paese è vittima di sé stesso, del suo estro che è individuale fino all’individualismo, che è imprenditoriale fino al menefreghismo. E’ vittima della frammentarietà di ogni comparto produttivo. Così come di ogni settore, nei servizi specialistici ad alto contenuto di conoscenza, che spesso pur vantando a livello internazionale vantaggi competitivi che vengono dalle caratteristiche peculiari del nostro territorio o della nostra storia, non li vede diventare strumento di sviluppo perché depotenziati dalle forme organizzative e dimensionali delle nostre microscopiche realtà aziendali, chiuse come tante torri d’avorio.
Oggi che il gioco si fa sempre più duro, la competitività delle nostre imprese è erosa da tantissimi nuovi entranti. Malgrado la qualità sia ancora un valore, è necessario ripensare a modelli organizzativi che ci permettano di essere più forti quando si valicano i confini del belpaese.
 
Lo strumento per favorire la crescita dimensionale delle nostre realtà aziendali è il contratto di rete di imprese. Uno strumento giuridico che consente a un gruppo di aziende di consorziarsi costituendo un soggetto giuridico che può operare in Italia e/o all’estero con specifiche finalità che fanno parte integrante del contratto stesso. Lo strumento può essere utilizzato sia da gruppi di aziende italiane ma può essere fatto anche un gruppo di aziende in parte italiane e in parte estere.
Costituisce, in altre parole, il meccanismo con cui i singoli imprenditori, che tipicamente preferiscono correre da soli piuttosto che in branco, possono vedere inalterate le loro prerogative di autonomia potendo al tempo stesso mettere a fattor comune con altri colleghi alcuni costi indiretti necessari ad esempio per la promozione dei propri prodotti in un nuovo mercato dove, da soli, quegli stessi costi avrebbero significato la perdita a priori di competitività.
Come spesso accade in questo paese gli strumenti ci sono ma sono spesso poco conosciuti ai più.
 
Il contratto rete d’imprese è infatti in essere già dalla fine del 2011, ma solo recentemente inizia, timidamente, ad essere noto. Convegni e tavole rotonde sul tema se ne sono viste molto poche. Formiche ad esempio, che ospita questo contributo, si è fatta promotrice, proprio la scorsa settimana, di un evento al riguardo. Bisogna fare promozione e le Unioni industriali devono coltivare non solo le imprese medio-grandi ma anche quelle di più piccola dimensione.
 
A Torino città, dal punto di vista industriale, certamente tra le più avanzate in Italia, si deve forse il più importante esperimento di questo tipo. Si tratta del contratto rete di imprese “Exclusive Brands Torino”. Rete che ha visto consorziarsi marchi come Azymut yachts, Mattioli, Grappa Bosso, Penne Aurora, Gobino. Una filiera molto articolata fatta di aziende che spaziano dal cioccolato alla nautica, accumunate dalla prerogativa di essere sinonimo di lusso, raffinatezza e qualità. Esattamente il DNA del nostro made in Italy. DNA che non deve rimanere solo un codice di triplette genomiche ma deve farsi spina dorsale, fasciata di muscoli dentro un corpo incattivito di voglia di prendersi mercati emergenti dove i denari non mancano. Sperando di andarseli a prendere prima che finiscano in mano a speculatori che ci fanno salire lo spread. Possibilmente.
 
La parola d’ordine per il rilancio del paese deve essere sempre di più internazionalizzazione delle nostre realtà d’impresa. Che vuol dire conoscenza dei mercati esteri, delle loro problematiche. Che vuol dire arte della diplomazia. Non basta guardare gli spot della nota azienda di telefonia nostrana che adopera per fini commerciali, squisitamente nazionali, l’icona di Marco Polo. Occorre rileggere il Milione e metterlo in pratica. E la via della seta è oggi la via privilegiata dei capitali, dei piccioli. Bisogna prendere in mano la 24 ore e muoversi verso est: Russia, Serbia, Turchia, soprattutto la Turchia. Paesi dalle economie più dinamiche e promettenti, dove la prospettiva di crescita è elevata. Paesi vicini al Mediterraneo, di cui siamo stati centro, e da cui oggi dobbiamo partire per raggiungere questi promettenti mercati limitrofi dove la storia sembra ricominciare lungo il corso di grandi fiumi di denaro, ieri d’acqua.
 
Occorre che i giovani capiscano con anticipo queste tendenze, che sono geopolitiche, (solo che a scuola non si studia neanche la geografia figuriamoci la geopolitica), e che quindi investano su sé stessi, nella conoscenza di altre culture, di altre lingue. Occorre conoscere l’indiano, l’arabo, il cinese, ma soprattutto occorre riscoprire l’arte dei mercanti, l’arte della diplomazia, del contrattare come si fa nei suk delle medine, come certamente molti capitani di industria nostrani, nel primo dopoguerra, hanno saputo fare sull’onda e gli stimoli della ricostruzione postbellica.
 
E poi occorre riscoprire il gusto di creare, di costruire, di maneggiare. Maneggiare, non nel senso in cui siamo forse primi al mondo, ma nel senso di dare forma alle cose con le mani estraendo dal pieno forme estetiche, cose belle e semplici che piacciono a tanti. Che non è l’elogio dell’artigianato ma metodo formativo del discente che conosce e impara la gioia di veder realizzato nella materia ciò che ha immaginato nella mente. Il tornio, la levigatrice, la sega. Ecco gli strumenti che devono trovare posto accanto ai computer. Inglese, informatica, internet sono state per troppo tempo le ´i´ che ci hanno fatto rimanere al palo.
Ancora Torino con le sue scuole professionali è un faro. Giovani hanno trovato e trovano un contesto dove imparano un mestiere e fanno la fortuna di tante aziende manifatturiere.
 
 
Michele Fronterrè, siciliano, laureato in Ingegneria Aerospaziale al Politecnico di Torino 10 anni fa. Nel 2007, ha co-fondato presso I3P, l´acceleratore d´imprese del Politecnico di Torino, Ingenia, una start-up che opera nel mercato dell´uso razionale dell´energia. Dalla fine dello stesso anno si occupa anche dello sviluppo commerciale di Cantene, società sempre all´interno di I3P che si occupa di servizi di ingegneria quali l´analisi, mediante l´utilizzo di simulazioni numeriche, di fenomeni d´incendi in spazi confinati. Ha scritto “Imprenditori d´Italia, storie di successo dall´Unità a oggi” (Edizioni della Sera, 2010)

Reti di imprese: l’esperienza di Exclusive Brands Torino

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