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La magistratura vaticana ha rinviato oggi a giudizio Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa accusato di furto aggravato delle carte riservate del pontefice. Ma nella sentenza del giudice istruttore Piero Antonio Bonnet si legge anche il nome di una seconda persona, rinviata a giudizio per concorso in furto aggravato, favoreggiamento e violazione del segreto. Il suo nome è  Claudio Sciarpelletti, dipendente della segreteria di Stato, informatico, arrestato, senza che sinora se ne sapesse nulla, lo scorso 25 maggio. il cui ruolo, ha puntualizzato il portavoce vaticano Federico Lombardi, è “marginale”.
 
Sciarpelletti è “cittadino italiano” e dipendente della Segreteria di Stato vaticana. E´ stato detenuto per una sola notte nelle celle di sicurezza della gendarmeria vaticana, il 25 maggio, poi, “previa cauzione”, ha ottenuto la libertà provvisoria, inizialmente condizionata all´obbligo di osservare “alcune prescrizioni”, poi cancellato. E´ difeso dall´avvocato Gianluca Benedetti, mentre Paolo Gabriele è assistito da Carlo Fusco e Cristiana Arru. Il processo a loro carico non si svolgerà prima del 20 settembre, data di riapertura del tribunale vaticano dopo la pausa estiva.
 
Sui nomi dei testi e di altri possibili complici di Gabriele, la Santa Sede ha scelto di ricorrere a lettere che nascondono l´identità delle persone.
Tra il materiale sequestrato a Paolo Gabriele, si legge nella sentenza di rinvio a giudizio, i gendarmi hanno rinvenuto anche “un assegno del 26 marzo 2012 intestato a Sua Santità Benedetto XVI relativo a una somma di 100mila euro, di una pepita presunta d´oro e di una edizione della traduzione dell´Eneide di Annibal Caro del 1581”. Nel corso della detenzione, iniziata con l´arresto del 23 maggio e conclusa con la concessione degli arresti domiciliari il 21 luglio, Gabriele è stato sottoposto a una perizia psichiatrica. La magistratura vaticana non ha ritenuto, però, che emergesse un profilo psicologico tale da non poter considerare imputabile il maggiordomo del Papa.
 
Negli interrogatori a cui è stato sottoposto durante la detenzione il “corvo” ha raccontato di avere incontrato il giornalista Gianluigi Nuzzi, autore del best-seller di “Sua Santità”, nell´appartamento di quest´ultimo. Gabriele ha precisato, a quanto si legge nella sentenza di rinvio a giudizio, di non aver “ricevuto versamenti in denaro o altri benefici” e di non aver agito spinto “da diverse ragioni quali i miei interessi personali, inoltre ritenevo che anche il Sommo Pontefice non fosse correttamente informato su alcuni fatti. In questo contesto (fui) spinto anche dalla mia fede profonda e dal desiderio che nella Chiesa si dovesse far luce su ogni fatto”. Paolo Gabriele riferisce anche di essere stato intervistato anonimamente da Nuzzi per la trasmissione “Gli Intoccabili” (La7).
 
E nel documento, presentato oggi in Vaticano, si riferisce anche di un confronto tra Paolo Gabriele e il segretario del Papa, Georg Gaenswein, al momento in cui quest´ultimo, accertato il furto delle carte riservate, ha comunicato a Paolo Gabriele la sospensione “ad cautelam”. Gabriele riferisce di aver passato le stesse carte date a Nuzzi anche a questo padre spirituale, il quale, sempre secondo la sentenza della magistratura vaticana, ha poi bruciato i documenti.
 
Durante un interrogatorio con i magistrati vaticani lo scorso cinque giugno, Gabriele ha detto: “Preciso che vedendo male e corruzione dappertutto nella Chiesa, sono arrivato negli ultimi tempi, quelli della degenerazione, a un punto di non ritorno, essendomi venuti meno i freni inibitori. Ero sicuro che uno shock, anche mediatico, avrebbe potuto essere salutare per riportare la Chiesa nel suo giusto binario. Inoltre nei miei interessi c´è sempre stato quello per l´intelligence, in qualche modo pensavo che nella Chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui mi sentivo in certa maniera un infiltrato”.

Vatileaks, chi è l'informatico rinviato a giudizio con Gabriele

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