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Ben Bernanke difende la politica monetaria della Fed da attacchi concentrici nelle ultime ore. Il governatore della Federal Reserve americana sta aggirando le critiche sulla politica della Fed, accusata di aver scatenato una “guerra monetaria” globale che rischia di destabilizzare le economie dei Paesi emergenti.
 
Bernanke ha sostenuto, in occasione della giornata del meeting annuale del Fmi a Tokyo, che “gli sforzi della Fed “non solo permettono il rafforzamento della ripresa dell’economia statunitense ma, stimolando la spesa Usa e la crescita, ha l’effetto di aiutare l’intera economia mondiale”.
 
Ma le critiche, oltre che dal ministro dell’Economia brasiliano, Guido Mantega, che sabato ha definito “egoista” l’accomodante politica monetaria della Fed a colpi di Quantitative Easing, arrivano anche dal Giappone, il cui governatore Masaaki Shirakawa, sembra molto più preoccupato dal possibile impatto delle scelte monetarie di Washington sui mercati emergenti.
 
Shirakawa ha parlato durante il weekend di un “danno collaterale” causato dall’abbondanza di credito facile dai mercati sviluppati al resto del mondo. “Con il rafforzamento della globalizzazione, nessun politico responsabile potrebbe evitare di prendere in considerazione le ricadute delle politiche americane”, ha concluso.
 
Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, ha detto che “le politiche monetarie accomodanti nei Paesi avanzati sono suscettibili di alimentare i flussi di capitali volatili verso le economie emergenti. Questo potrebbe ridurre la capacità di queste economie ad assorbire potenziali vasti flussi di capitali e condurre a un surriscaldamento, alla formazione di bolle finanziarie e alla nascita di squilibri finanziari”. Tuttavia Lagarde ha sottolineato di aver visto “solide iniziative prese dalle banche centrali che l´Fmi considera come contributi importanti alla stabilità”.
 
Lawrence Summers, professore all’università di Harvard ed ex segretario al Tesoro degli Usa, ha sostenuto in un intervento sul Financial Times che “si tenterà di cambiare l’architettura economica mondiale”. “Le restrizioni politiche interne sono legate alle azioni necessarie in gran parte del mondo. La politica Usa non ha funzionato bene durante la corsa alle elezioni del 2012 e l’Europa a volte fa sembrare il Congresso Usa come un modello efficiente nel decision-making. La preoccupazione sulla cooperazione internazionale è certa – osserva Summers – ma il massimo che ci si possa aspettare dalla politica è che dia risposte razionali a problemi seri. Se non c’è consenso sulle cause o sulle soluzioni da dare a problemi gravi, non ha senso chiedere al sistema politico di implementare azioni forti in modo prolungato”.
 
“D’altra parte – ha sottolineato Summers – nei momenti di preoccupazione particolarmente forte sulla crescita, come nella primavera del 2009 e come ora, il Fmi e molte autorità monetarie e fiscali tendono ad enfatizzare il meccanismo domanda-offerta. Ma nel momento in cui le nuvole si dissipano, le posizioni ortodosse riprendono forza e l’attenzione torna a concentrarsi sulla contrazione fiscale e su sane politiche fiscali di lungo periodo”.
 
“I sostenitori dell’ortodossia vogliono la coerenza. Quelli come me temono che politiche espansionistiche portate avanti per un breve periodo risultino insufficienti per far ripartire la crescita e che allo stesso tempo minano la loro stessa efficacia e riducono la fiducia”, conclude l’economista.

Tutti (o quasi) contro il lassista Bernanke

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