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Le imprese italiane sono un boccone sempre più ghiotto per le multinazionali estere. Il bisogno di capitali, la recessione inarrestabile e la particolare fragilità di alcuni settori stanno scatenando una spinta continua alle acquisizioni in Italia da parte di aziende estere. Secondo la nostra intelligence è un fenomeno in crescita esponenziale. Cina, Russia, India, Francia e Gran Bretagna sono le nazioni in prima linea.
Un report del nostro reparto di informazione e sicurezza – trasmesso tra gli altri anche al ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera – già ora in fase di inevitabile aggiornamento, traccia una mappa dettagliata della minaccia economica oltreconfine.
Uno scenario sotto la lente
È la nuova frontiera affrontata dai nostri servizi segreti: intelligence economica intesa non solo e non più come controllo dello spionaggio industriale, ma soprattutto informazione, conoscenza e analisi delle dinamiche produttive nelle aziende globalizzate quando alterano gli equilibri nazionali. È una linea strategica richiamata più volte dal premier Mario Monti, dal sottosegretario Gianni De Gennaro e dal direttore del Dis Giampiero Massolo. La chiave di lettura del fenomeno delle acquisizioni estere parte da un dato: la crisi di liquidità delle imprese italiane non potrebbe che trarre giovamento dall’iniezione di capitali freschi. Il punto cruciale, però, è comprendere se i fondi in arrivo dai Paesi stranieri hanno connotati ostili. Se intendono, per esempio, minacciare o alterare gli equilibri nazionali di alcuni settori se non addirittura «svuotare» imprese italiane strategiche.

I comparti produttivi più a rischio
Finora sono otto le filiere produttive soggette a interesse internazionale. Una parte attrae gli investimenti stranieri in aziende strategiche nazionali. È così in ballo il settore energetico da parte di operatori e fondi esteri nel nostro mercato del gas e dell’elettricità. Quello farmaceutico, con tentativi di acquisizione per sottrarre il know-how italiano. L’alta moda, per conquistare marchi storici. Le infrastrutture: l’obiettivo degli stranieri è di ottenere concessioni demaniali nei porti del Sud Italia. Il comparto industriale e delle energie bio-rinnovabili, infine. Ma sotto tiro ci sono anche le imprese del settore assicurativo, bancario e della difesa.

Segni dell’intraprendenza straniera
La Russia è il primo paese citato nel report: la sua presenza è ancora limitata ma è in fase di crescita. Gli investimenti da parte di multinazionali russe in Italia si possono quantificare in circa 60 acquisizioni (parziali o tali), la metà in Lombardia. Ci sono società molto attive: Gazprom, Lukoil e Rusal, per esempio, la società telefonica Mosca Mts e il gruppo alberghiero Miramax. Non mancano gli aspetti positivi di una sempre maggiore compenetrazione tra le due economie. Ma ci sono anche profili di rischio: opacità di alcune operazioni finanziarie così come il mantenimento e lo sviluppo della dipendenza energetica dell’Italia. Anche l’India non scherza: gli investimenti di multinazionali indiani sono stati finora circa 60, i tre quarti in Lombardia. L’azione è a largo raggio: riguarda la produzione industriale meccanica, tessile, plastica, farmaceutica, dell’abbigliamento e dell’acciaio. Sono messe in atto progettualità strategiche di sviluppo aziendale, scelte operative finanziarie, investimenti, tutte azioni che costituiscono oggi una manna in una fase di recessione. Anche in questo caso, però, non mancano aspetti preoccupanti: l’economia indiana è ancora instabile, acquisizioni e joint venture potrebbero avere il solo scopo di ottenere in Italia know how e tecnologie strategiche, ma causare anche diseconomie sul tessuto produttivo italiano.

Il caso cinese
Le multinazionali del Sol Levante hanno investito per circa 70 acquisizioni (parziali e totali) di cui la metà in Lombardia. I settori sono molteplici: logistica e trasporti, industrie manifatturiere, il commercio all’ingrosso e le telecomunicazioni. Fino a oggi, rileva il report, le acquisizioni cinesi hanno avuto il solo scopo di salvare società in crisi finanziaria e appropriarsi di marchi noti del made in Italy che hanno risalto commerciale in Cina. In realtà i motivi di preoccupazione sono numerosi. Un altro report specifico sulle attività cinesi si concentra, tra l’altro, su Huawei, multinazionale delle telecomunicazioni. I suoi programmi di sviluppo in Italia abbracciano la maggior parte delle grandi aziende nazionali: Terna, Enel, Ferrovie dello Stato, Fiat, Poste Italiane, H3g, Fastweb, ci sono stati contatti anche con Finmeccanica. L’intelligence, in particolare, mette in guardia sui rischi di affidabilità nel caso di contratti stipulati con la pubblica amministrazione. Inglesi e americani, in questo senso, hanno già denunciato più volte il pericolo che i sistemi cinesi non siano del tutto sicuri e possano lasciare nell’hardware o nel software «porte aperte» agevoli per intromissioni non proprio auspicabili, anzi molto pericolose.

www.ilsole24ore.com

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