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Qualora il tasso di evasione italiano si allineasse con quello medio europeo e il risultante “tesoretto”, corrispondente a 54 miliardi di euro, fosse interamente impiegato per ridurre le tre principali imposte dirette, in proporzione al loro rispettivo peso attuale sulle entrate complessive, l’aliquota media dell’Irpef potrebbe scendere dal 26,9% al 20,9%, quella dell’Ires dal 27,5% al 21,4%, quella dell’Irap dal 3,9 al 3%. La pressione fiscale totale, che nel 2010 era pari al 43%, calerebbe al 38,4%, riportandoci a livelli di poco superiori a quelli di Germania e Regno Unito (mentre oggi siamo il quarto Paese Oecd nella classifica dei più tartassati e ci stiamo avviando a diventare il terzo, superando anche il Belgio).
 
Non si tratta del libro dei sogni ma di un primo risultato al quale giunge lo studio appena condotto da I-Com, Istituto per la competitività, per l’associazione La Scossa, un network di manager, docenti universitari, imprenditori, professionisti del settore pubblico e privato di età compresa tra i 35 e i 45 anni, ideato insieme a Francesco Delzio e Antonia Masino, per avanzare analisi, proposte e idee che diano la scossa all’Italia sul piano economico, culturale e morale (www.associazionelascossa.it).
 
Proprio nell’ottica di massimizzare la possibile scossa all’economia del Paese, si potrebbe sfruttare la lotta all’evasione per ripensare radicalmente l’attuale sistema tributario da qui a cinque anni. Non solo spostando la tassazione dalle persone alle cose, come si sta facendo altrove e aveva in mente di fare in Italia il precedente governo (senza risultati), ma anche concentrando i maggiori sgravi verso le classi medie e medio-basse e le piccole e medie imprese, nella convinzione che da qui possa riaccendersi il motore della crescita italiano.
 
Secondo le proposte della Scossa e le corrispondenti simulazioni condotte da I-Com, questo risultato potrebbe essere ottenuto agendo sulle aliquote dell’imposta dei redditi sulle persone fisiche, Irpef, e dell’imposta sui redditi delle società, Ires, riducendole per tutti i contribuenti, grazie ai proventi derivanti dalla minore evasione, ma operando una differenziazione per classe di reddito o fatturato.
Per l’Irpef, si propone il passaggio nel giro di cinque anni a un sistema incentrato su tre aliquote (19% fino a 28mila euro, 29% da 28mila a 75mila euro e 41% oltre 75mila), rispetto alle cinque attuali. I benefici maggiori andrebbero dunque ai redditi compresi tra 15mila e 75mila euro che sono oggi tassati al 27%, al 38% e al 41%. Con risparmi quantificabili in oltre 2mila euro all’anno per i contribuenti con reddito imponibile di 35mila, in circa 3.500 euro per chi guadagna 50mila, in circa 6mila euro per chi ha un reddito di 65mila e in quasi 8mila per chi dichiara 85mila euro.
 
Nella stessa logica, con le risorse rese disponibili dal recupero del gettito evaso, si propone il passaggio a un regime Ires che, rispetto all’attuale (aliquota unica del 27,5%), preveda un’aliquota del 18% per le imprese fino a cinque milioni di fatturato annuo e del 23% per quelle sopra questa soglia (ipotizzando a corredo una serie di misure che contrastino l’eventuale elusione e che al tempo stesso non scoraggino la crescita dimensionale delle imprese oltre la soglia indicata).
 
A regime, nel giro di cinque anni, un’impresa con meno di 5 milioni di fatturato e con un utile di 100mila euro potrebbe risparmiare ogni anno 9.500 euro (cioè il 34,5% di quanto paga attualmente allo Stato), una con un utile di 500mila potrebbe versare 47.500 euro in meno. Più contenuti in percentuale, ma ingenti in termini assoluti, i risparmi per le imprese di dimensione maggiore (quelle che fanno trenta milioni di utile potrebbero trattenere un milione e 350mila euro in più rispetto ad oggi, l’equivalente dello stipendio netto di 72 operai metalmeccanici di IV livello).
 
In un approccio che è necessariamente gradualista e subordinato al conseguimento effettivo dei maggiori introiti dal recupero dell’evasione, sarebbe però importante che, in una fase congiunturale e strutturale di grave difficoltà economica come quella attuale, il governo potesse dare appena possibile segnali tangibili e precisi quantomeno sugli obiettivi che si pone sia in termini di minore evasione sia di riforma fiscale che ne risulterebbe. Senza sprecare la straordinaria opportunità che ha a disposizione per ridurre la pressione fiscale senza dover diminuire servizi pubblici essenziali o altre voci di spesa necessaria (come salari e stipendi ai dipendenti pubblici), in attesa che l’annunciata spending review permetta di comprimere gli sprechi e di aumentare l’attuale livello di efficienza della mano pubblica.
 
Tanto più che, essendo state elaborate in una prospettiva statica, le stime presentate nello studio potrebbero rivelarsi prudenziali perché non includono due effetti che potrebbero verificarsi in seguito alla diminuzione della pressione fiscale.
Da un lato il maggior gettito derivante dal maggiore dinamismo del sistema produttivo nazionale che una diminuzione della pressione fiscale dovrebbe generare e che si tradurrebbero in maggiori entrate, a parità di aliquote; dall’altro il minore incentivo ad evadere derivante da una minore imposizione (e da una maggiore equità percepita dai contribuenti, che come hanno dimostrato numerosi studi empirici è un fattore decisivo nell’indurre una maggiore compliance fiscale).
 
In una prospettiva dinamica, dunque, si potrebbe immaginare, grazie al recupero dell’evasione, un circolo virtuoso che in ultima analisi potrebbe portare, a parità di gettito, ad un alleggerimento fiscale ancora maggiore di quello qui immaginato, nel contesto di una società più ricca e più giusta.

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