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A venti giorni dal voto amministrativo, un dato solo è certo: l’ulteriore proliferazione (sino al limite della polverizzazione) delle liste dei candidati. Costituendo, il voto di maggio, l’ultima prova elettorale prima della consultazione politica del 2013 (non prorogabile ma solo anticipabile), non se ne può trarre alcuna ipotesi per ciò che avverrà fra dodici mesi, per immaginare cosa ne sarà della politica italiana.
 
Non è un luogo comune, e neppure un dato improbabile, affermare che la polverizzazione delle liste di oggi sarà, domani, accompagnata da un ancora più alto assenteismo elettorale: non più espressivo di un rifiuto della politica, bensì dello scadimento progressivo della qualità della politica e dei metodi cui si ricorre – da parte di tutti i soggetti in scena – a organizzare consensi e dissensi che diano un senso compiuto ad una comunità che nutra davvero fede nella democrazia, nei suoi valori e nei suoi riti.
 
L’assenza di certezza non è di per sé un cattivo segno, non essendo dell’uomo possedere certezze. Ma una corretta valutazione della complessità dei problemi che ci attanagliano tutti, ovunque collocati quanto a preferenze politiche, non può esaurirsi nello sperare che il governo in atto sia davvero migliore del precedente e possa addirittura prefigurare una modalità politica da imitare dopo il voto politico anch’esso praticamente alle porte.
La complessità non è figlia di un dio capriccioso e bizzarro che mette gli uni contro gli altri per poterli più facilmente dominare e asservirli. Il mito dell’egualitarismo ha sempre provocato più tragedie epocali che avanzamenti sociali. E non è un caso che il governo Monti, malgrado le recondite intenzioni, vada ad incepparsi al momento della scelta: che non può essere né neutra, né disinvolta. Chiediamocelo accoratamente: quando tornerà la politica vera (e come) prima che ci si trovi non più sull’orlo, ma nei vortici del baratro?
 
Giovanni Di Capua

Quando torna la politica?

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