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Il 3 luglio, un lotto di quasi 27 tonnellate di angurie altamente tossiche è transitato nel mercato della frutta di Barcellona in Spagna ed è poi stato rivenduto sia sul mercato nazionale iberico che su quello europeo.

La frutta in questione, proveniente dal Marocco, conteneva quantità di Metomil, un pesticida altamente tossico, in quantità superiori a 25 volte i limiti consentiti dall’Unione europa. Purtroppo, quando le autorità spagnole hanno lanciato l’allerta, le angurie erano state già consumate da ignari amanti della frutta fresca di stagione.

Se qualcuno pensasse che si tratta di un caso isolato, si sbaglierebbe di grosso. Appena pochi mesi fa, la rivista tedesca Öko Test, che svolge test di qualità di prodotti a difesa dei consumatori, ha inviato un’allerta sulle fragole provenienti sempre dalla Spagna, ed in particolare dalla provincia di Huesca. Il problema era ancora ed una volta l’alta quantità di pesticidi.

Il report 2022 del Sistema europeo di allerta per la sicurezza alimentare (Rasff), ci ricorda che oltre il 15.4% dei casi di prodotti segnalati proviene dalla Spagna, relativamente a “sospetti di adulterazione di calamari, seguiti dall’etichettatura dubbia di olio di oliva ed olio extra vergine di oliva.”

Ad allargare la prospettiva, andando al di là del bacino mediterraneo, si scopre una situazione a dir poco inquietante. La ricerca spasmodica di prezzi bassi gioca brutti scherzi. Si scopre così che oltre un quarto dei prodotti bloccati dal sistema di controllo comunitario proviene dall’area extra-UE con in testa la Cina per l’adulterazione di miele e l’India per gamberi e gamberetti.

Il tema della tracciabilità rimane al centro della questione. Le partite extra-Ue vengono spesso mischiate a lotti di provenienza comunitaria. Si tratta di una modalità nota in letteratura come “grey market strategy”. Si mescolano prodotti originali e legali, con prodotti di dubbia provenienza e spesso illegali. Il problema è che in questo caso l’illegalità coincide con la tossicità.

Vorrei sottolineare che l’adozione di tali strategie, assai comuni fuori dai nostri confini nazionali, presenta due gravi problemi. Il primo è ovviamente quello della tutela dei consumatori che rischiano di acquistare prodotti tossici. Il secondo riguarda la concorrenza sleale: quando un agricoltore di un paese straniero compra 9 tonnellate di pomodorini dal Marocco, che hanno non a caso un costo inferiore al 60% -70% di quelli UE,  e li etichetta come europei unendoli ad 1 tonnellata di pomodorini di origine europea, attua una strategia di competizione sleale nei confronti dei produttori italiani.

Per fortuna l’Italia è il campione europeo non solo della qualità alimentare ma anche dei controlli. Possiamo contare in termini qualitativi e quantitativi sulle migliori forze di polizia al mondo. Il Comando per la Tutela della Salute ed il Comando Tutela Agroalimentare dell’Arma dei Carabinieri, l’ICQRF (Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari) e la Guardia di Finanza svolgono ogni giorno centinaia di verifiche a tutela dei consumatori italiani.

Manca però una strategia europea a tutela dei consumatori perché purtroppo gli interessi economici in gioco fanno gola ad alcuni Paesi interessati a far cassa e guadagnare fette di mercato facendo leva con le sopracitate grey market strategy.

Entra in gioco quindi l’importanza dell’intelligence. È necessario affinare gli strumenti di verifica dei flussi provenienti dall’extra-Ue, quelli della tracciabilità ed attivare un sistema di controllo capillare ben più rapido di quello esistente per evitare che prodotti altamente tossici finiscano sul tavolo di ignari consumatori come nel caso del mercato di Barcellona.

È questa una importante sfida per l’Unione europa: che per una volta possa imparare dalle buone pratiche italiane e garantire la tutela di tutti i consumatori dell’intera area comunitaria. Anche a costo di qualche decimo di euro in più nel prezzo dei prodotti finali.

A buon intenditor, poche parole.

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