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Nel Codice di Camaldoli, c’è un capitolo, il quarto, sul “Lavoro” che risulta scritto da tre valtellinesi, tutti di Morbegno, Ezio Vanoni, Pasquale Saraceno e Sergio Paronetto. Non so se è noto che la ragione per cui Ezio Vanoni si avvicinò al movimento politico che De Gasperi stava costituendo a Roma, la futura Democrazia cristiana, mentre l’avventura militare italiana stava precipitando, alla fine del 1942, fu proprio il legame con Paronetto, che strinse tramite suo cognato Pasquale Saraceno che, allora, era professore di Tecnica industriale all’Università Cattolica di Milano, ma dirigente del gruppo Iri, a Roma. Vanoni, che era a Roma, come consulente dell’Istituto italiano di finanza pubblica, si recava a visitare la sorella e il cognato Pasquale. E questi gli fece conoscere Paronetto che era segretario del Consiglio di amministrazione del gruppo Iri, compito molto delicato, e promotore del movimento cattolico democristiano, e lo introdusse a De Gasperi.
 
Non è dato di sapere se nei suoi anni in Germania Ezio Vanoni avesse letto i saggi del gruppo di studiosi di economia e diritto della scuola di Friburgo che pubblicava, dal 1930 la rivista Ordo, che è all’origine dell’economia sociale di mercato. Vi sono affinità fra l’ispirazione di questo testo che mi pare si possa definire di “economia sociale di mercato” e l’ispirazione generale dell’ordoliberalismo, ancorché nelle tesi che andrò commentando la componente sociale abbia un maggior risalto e il modo in cui è scritto, come se si trattasse di un codice, lasciano spazi di ambiguità. Comunque, è stato scritto nel 1943, mentre in Italia vi era il regime fascista corporativo, dall’Urss alleato degli occidentali veniva il messaggio dell’economia collettivista e del comunismo, come soluzioni di benessere e di felicità delle masse lavoratrici, mentre dalla Gran Bretagna veniva il modello di Beveridge dello Stato del benessere dalla culla alla bara e dagli Usa quello del dirigismo del New Deal e del keynesianesimo come sostituto del laissez faire, considerato defunto. Il quarto capitolo si apre con una affermazione di principio sul Diritto al lavoro e la sua dignità. Si tratta del principio per cui la società va organizzata in modo da consentire il pieno impiego grazie all’impegno responsabile di ciascuno.
 
Il lavoro è concepito innanzitutto come una attività economica necessaria per il contributo di ciascuno al bene comune. È un principio tanto fondamentale da dar luogo non solo a un potenziale diritto, ma anche a un dovere etico del lavoro che riguarda anche chi può vivere senza lavorare. Questo dovere, superficialmente, potrebbe essere interpretato come un mero obbligo morale dei benestanti, di lavorare e di non vivere solo di rendita. Ma esso ha implicazioni molto più vaste, estremamente attuali, riguardanti l’economia. Infatti implica la negazione delle politiche assistenzialistiche, che si sono via via diffuse, sia nello Stato del benessere, che nelle sue deviazioni. Ma quello economico non è il solo motivo per cui il lavoro ha un ruolo fondamentale nella società. Esso “ha nobili prerogative” e “dà dignità” perché è “il mezzo voluto da Dio per il perfezionamento della persona umana e per il dominio dell’uomo sul mondo” e questa non può essere sminuita dalla fatica che spesso il lavoro comporta.
Quando il Codice di Camaldoli dice “no” all’assistenzialismo, ma anche “sì” all’intervento mirato pubblico-privato, in modi conformi al mercato e alla professionalità, per assicurare l’occupazione, su basi economiche, siamo nel campo dell’economia sociale di mercato con interventi conformi.
 
VSP (Vanoni, Saraceno, Paronetto) spiegano, in un comma del Codice, che detti interventi sono giustificati da esigenze che attengono alla funzione individuale e sociale assolta dal lavoro e non soltanto da rilevanti, seppure opinabili, motivi di convenienza economica.
VSP sanno che queste politiche corrono il rischio di essere qualificate e squalificate come dirigiste, anche perché sono soggette al rischio di degenerazioni. Ma esse, dal punto di vista etico, si contrappongono sia alle politiche assistenzialistiche che alla filosofia keynesiana di creazione dell’occupazione mediante espansione della domanda, tramite il meccanismo del moltiplicatore, in relazione a spese pubbliche non necessariamente produttive e a riduzione di imposte senza connessione con la produttività in regime di deficit di bilancio.
Vorrei ricordare che il Codice di Camaldoli veniva scritto mentre dagli Usa veniva il confuso messaggio keynesiano del New Deal, dal Regno Unito quello dello Stato del benessere dalla culla alla bara e dall’Urss quello del collettivismo.
 
Gli autori di questo testo, ciascuno con la sua diversa esperienza, ma uniti da comune conoscenza della storia dello sviluppo economico e da valori etici comuni della civiltà cristiana, anche nel senso di Benedetto Croce, quello per cui, nella nostra civiltà umanistica, “non possiamo non dirci cristiani” hanno presentato, in uno degli anni più bui della nostra storia, un modello di economia sociale di mercato che costituisce un messaggio luminoso anche per noi. Uno di questi tre autori, quello che probabilmente ha dato al testo il maggior contributo alla spiritualità, che esso emana, era Sergio Paronetto che qui ricordiamo, morto troppo presto, ma non così presto da non averci donato queste linee guida preziose su cui meditare.

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