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Quanto successo in questi anni ha posto al centro dell’attenzione generale il tema dell’agroalimentare. Covid-19 e invasione russa dell’Ucraina hanno chiaramente evidenziato che la sicurezza alimentare riguarda tutti i Paesi, compresi quelli occidentali. Siamo tutti consapevoli, anche per effetto della pandemia, che regimi scorretti e pratiche agricole non sostenibili possono avere un impatto diretto sul benessere individuale e collettivo.

Le produzioni sono sempre più influenzate dal cambiamento climatico, a sua volta connesso anche alle modalità con cui sono prodotte le derrate alimentari. Si tratta di un grande thread dell’attualità, che riguarda tutti e che ci spinge a rendere le imprese del settore sempre più attente all’ambiente e all’equità sociale.

In tale quadro globale, il Food system summit del 2021 chiede di attivare concreti sentieri di cambiamento, verso il rispetto del diritto al cibo delle popolazioni e degli strati sociali più vulnerabili, la salvaguardia della biodiversità e la valorizzazione delle produzioni e dei regimi alimentari sostenibili locali, tra i quali rientra sicuramente la dieta mediterranea.

Questo sta avvenendo anche attraverso 27 coalition internazionali, che hanno competenze su temi specifici quali la sostenibilità delle produzioni, gli effetti del cibo sulla salute, la misurazione degli impatti produttivi sull’ambiente, lo spreco alimentare, le politiche locali del cibo.

In tale percorso, l’Italia può cogliere una grande opportunità. Il sistema agroalimentare del nostro Paese è caratterizzato infatti da una consolidata cultura del cibo, da un’elevata qualità dei prodotti, da interessanti forme di cooperazione e relazione tra gli attori della filiera e da un particolare riguardo agli aspetti sociali e ambientali, pur con qualche importante criticità.

Le produzioni tipiche, legate ai territori e in linea con la dieta mediterranea, hanno ulteriori interessanti possibilità di sviluppo, anche economico. Perché questo accada, occorre ripensare il settore inquadrandolo come un vero e proprio sistema, che include non solo la filiera dalla produzione al consumo, ma anche le istituzioni, gli attori della ricerca e dell’innovazione, i servizi di assistenza tecnica, la consulenza gestionale e quella relativa ai mercati di sbocco, la formazione, i finanziatori, le banche.

Vanno inoltre conciliati tre aspetti ineludibili: le piccole e medie dimensioni delle nostre imprese agroalimentari; il rispetto dei principi della sostenibilità ambientale e sociale; assicurare un giusto livello di profitto agli agricoltori. Per raggiungere questo obiettivo ci sono soluzioni innovative dal punto di vista tecnologico, colturale, organizzativo e sociale.

Ad esempio sfruttando le tecnologie dell’agricoltura di precisione, selezionando produzioni capaci di resistere agli stress idrici, rivedendo l’organizzazione interna, coinvolgendo nuovi partner e svolgendo attività complementari a quella agricola, nella ricettività, nel turismo enogastronomico, nello sfruttamento delle risorse biologiche.

Considerando le tradizionali difficoltà delle imprese agricole ad accedere all’ecosistema dell’innovazione, occorre un grande supporto da parte delle istituzioni, dei centri di ricerca, delle associazioni di categoria e dei consorzi. Un contributo importante potrà venire dal Centro nazionale agritech, finanziato dal Pnrr, particolarmente impegnato sulle nuove tecnologie abilitanti per l’agricoltura.

Per promuovere il consumo e la produzione responsabili, bisogna altresì valorizzare regimi alimentari sani e sostenibili come la dieta mediterranea – preziosa per la sua valenza culturale – il rispetto assegnato alle scelte dei singoli individui e l’attenzione ai valori della sostenibilità, della biodiversità e della convivialità.

Vanno dunque colte tutte le possibili occasioni per supportarne la diffusione, contrastando i tentativi di imporre, in maniera verticistica, regimi universali, volti a omogeneizzare le scelte alimentari e le produzioni agricole. A tal fine, è sicuramente utile l’impegno da parte del governo italiano nel promuovere una food diplomacy imperniata proprio su tale regime alimentare, con il prezioso apporto del ministero degli Esteri, di quello delle Politiche agricole, della sovranità alimentare e delle foreste, e di quello della Università e ricerca.

Fa comunque ben sperare, per il futuro del sistema agroalimentare globale e di quello del nostro Paese, il fatto che, nel percorso di attuazione del post Food system summit, le Nazioni Unite abbiano assegnato una chiara centralità alle loro agenzie romane, particolarmente attente ai temi sociali, al rispetto delle diversità e all’innovazione sostenibile.

Articolo pubblicato su Formiche 192

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L’agroalimentare è sempre più influenzato dal cambiamento climatico, a sua volta connesso anche alle modalità con cui sono prodotte le derrate. Si tratta di un grande thread dell’attualità, che riguarda tutti e che ci spinge a rendere le produzioni e le imprese del settore sempre più attente all’ambiente e all’equità sociale. In tutto questo l’Italia può cogliere una grande opportunità. L’analisi di Angelo Riccaboni, professore di Economia aziendale presso l’Università degli studi di Siena e presidente della Fondazione Prima di Barcellona

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