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Paolo Messa ›
Formiche
Snam rete gas è una società del gruppo Eni. Detiene la rete infrastrutturale che distribuisce il gas nelle case degli italiani.
Da tempo, per ragioni di tutela della concorrenza, si discute dell’ipotesi di scorporarla e di renderla così “indipendente”.
Si tratta di una indicazione più volte ribadita dall’ex presidente dell’Autorità per l’energia ed il gas, Alessandro Ortis, e tornata di attualità nel dibattito parlamentare relativo all’approvazione della direttiva europea sul Terzo pacchetto energia. Quale politica quindi per il tubo italiano?
 
Carlo Stagnaro ›
Istituto Bruno Leoni
Per cominciare può essere utile affrontare la questione nei termini più generali possibili. Nel momento in cui si cerca di passare da un monopolio verticalmente integrato a un mercato concorrenziale, occorre distinguere tra i segmenti della filiera per i quali può essere introdotto un modello di “concorrenza nel mercato”, e quelli che invece rappresentano dei monopoli tecnici perché i costi di duplicazione sarebbero proibitivi. Le reti di trasporto e distribuzione appartengono a quest’ultima categoria. Inizialmente si è pensato che fosse sufficiente, attraverso forme di separazione “debole”, imporre obblighi di terzietà e non discriminatorietà nell’accesso alle reti, lasciandone proprietà e controllo nelle mani dell’incumbent. L’esperimento ha funzionato solo in parte: se infatti è relativamente semplice garantire la libertà d’accesso, è ben più complicato essere certi che anche la politica di investimenti abbia un’impostazione pro-concorrenziale, e non ceda alla tentazione di rinunciare a investimenti teoricamente remunerativi, ma tali da pregiudicare l’estrazione di rendite di monopolio a monte o a valle. Questo conflitto di interessi è intrinseco e ineliminabile in qualunque modello diverso dalla completa separazione tra le reti e le compagnie attive nei segmenti commerciali della filiera.
L’aspetto peggiore è che talvolta non serve che il monopolista faccia effettivamente uso del suo potere per ostacolare i newcomer: è sufficiente il sospetto che possa farlo a deprimere la concorrenza potenziale, e quindi a ridurre
i benefici attesi dalle riforme di mercato. Un ultimo aspetto riguarda l’attività regolatoria: è ovvio che, in presenza di un conflitto di interessi, il regolatore deve avere le unghie più lunghe, gli occhi più aguzzi e adottare scelte più conservative, lasciando meno spazio alla creatività delle imprese.
Al contrario, se si può muovere dall’assunto che il gestore della rete non ostacolerà la concorrenza – come avviene nel caso di separazione proprietaria – si possono lasciare più gradi di libertà, e quindi è più probabile che emergano soluzioni innovative vantaggiose per tutti. L’evidenza, del resto, dimostra che le esperienze di ownership unbundling hanno prodotto più concorrenza
e più investimenti infrastrutturali. Nella peggiore delle ipotesi, la separazione non ha fatto né bene né male; nella migliore, ha fatto molto bene. A favore della separazione proprietaria, insomma, militano tre grandi argomenti:
1) eliminare i conflitti di interessi
in capo al gestore della rete;
2) massimizzare non solo la concorrenza attuale, ma anche quella potenziale, rimuovendo un deterrente all’entrata; 3) evitare che, per gestire i problemi precedenti, il regolatore sia costretto a praticare forme
di regolazione pesanti e intrusive, e a loro volta non prive di costi non solo per il soggetto regolato, ma anche per il sistema.
Questo è un elemento per me essenziale: la separazione proprietaria è condizione necessaria a una seria deregolamentazione del settore.
 
Paolo Messa ›
L’elogio dei sani principi di concorrenza non può che trovare largo consenso. Un dubbio però: ha senso ragionare in questi termini senza considerare che
il mercato energetico è ormai sovranazionale?
 
Mario Sechi ›
Il Tempo
Il punto è proprio questo. Proviamo a domandarci: di chi sono le reti, di chi è Internet? Internet è il network per eccellenza. Di chi sono i nodi di Internet? Di chi li produce, evidentemente. Citiamo un’azienda per tutte, Cisco. E di chi è Internet se questa fosse di nazione? Degli Stati Uniti, naturalmente. Questo ragionamento vale, evidentemente, anche per la rete del gas che – come le pipelines petrolifere – è costituita da nodi. E si tratta peraltro di una rete che dispone, anche a livello europeo, di poche interconnessioni. Nel caso di Snam rete gas la domanda da porsi è quanto sia strategica per il nostro Paese e qui io non ho dubbi ad affermare che corrisponda all’interesse nazionale.
Nel contesto di una competizione internazionale sempre più aspra e di una frattura europea in corso, io sono contrario alla separazione della rete dall’attuale proprietario. Non possiamo infatti non considerare che stiamo discutendo di un settore strategico, delicatissimo: non soltanto la produzione ma anche la distribuzione, il network, la proprietà e il controllo della rete, con tutto ciò che ne deriva, sono questioni che attengono alla sicurezza dello Stato che non possono essere interpretate solo nella logica del mercato ma in uno scenario geopolitico un po’ più grande.
 
Paolo Messa ›
Se Snam rete gas non fosse più controllata da Eni ma restasse comunque in mani pubbliche, l’interesse pubblico sarebbe comunque tutelato?
 
Mario Sechi ›
La pubblicizzazione integrale di Snam rete gas potrebbe essere un’ipotesi, o direttamente o attraverso Cassa depositi e prestiti. Guardate cosa sta accadendo nell’area mediterranea: la Libia ci dà il 33% del petrolio e il 12% del gas, l’Algeria il 38% del gas. Qui è in corso uno shock globale, e in una situazione di questo genere il controllo della rete è tutto.
 
Paolo Messa ›
Proprio la destabilizzazione che sta avvenendo in Paesi chiave per le nostre forniture di gas, dovrebbe imporre all’agenda politica e istituzionale la necessità di dotare l’Italia di un numero assai più consistente di rigassificatori. È lì, molto più che dal tubo, che passa la nostra sicurezza negli approvvigionamenti di gas.
 
Federico Testa ›
Pd
Torno per un attimo alle considerazioni fatte da Stagnaro all’inizio, aggiungendo una specificazione.
È vero che se c’è una buona attività di regolazione, la proprietà della rete in capo all’impresa verticalmente integrata non conta più di tanto, non vieta l’accesso (pur avendo qualche problema sul capitolo investimenti). Attenzione però che siccome questo mercato ha funzionato prevalentemente con contratti di tipo take or pay,
la cosa è un po’ più complicata. Snam non ha bisogno di dire:
“Il tuo gas non voglio farlo passare”. Potrebbe dire, o ha detto: “Il tuo gas lo farei passare molto volentieri, ma il tubo è pieno, e siccome se io faccio passare il tuo gas, il mio lo devo pagare lo stesso, mi dispiace ma non può passare”. Questo porta allo stesso risultato in modo molto più elegante, evitando di incorrere nelle sanzioni dell’Autorità. Capisco il ragionamento di Sechi che dice: l’energia è strategica, e noi dobbiamo essere sicuri che sia gestita nell’interesse nazionale.
E l’interesse nazionale, secondo Sechi, si tutela con la proprietà pubblica dell’asset. Su questo, due considerazioni. Primo, stiamo parlando di Snam rete gas, cioè della società che possiede i tubi per il trasporto del gas all’interno dell’Italia. La considerazione di Sechi ha, secondo me, molto più senso sui gasdotti internazionali di transito. E di conseguenza mi chiedo: che interesse avrebbe un famigerato fondo sovrano straniero che acquistasse Snam rete gas a non valorizzare il suo investimento impedendo il funzionamento della sua rete? Detto questo, la proprietà pubblica della rete, l’Eni è un soggetto che ha un controllo pubblico al 30% attraverso il meccanismo della golden share, meccanismo che per molti versi non convince, ed è verticalmente integrato fino ad Italgas, cioè al consumatore finale. Allora mi chiedo se non sia meglio, sempre nell’ottica del controllo pubblico a tutela della sicurezza energetica, un soggetto senza gli stringenti conflitti di interesse di Eni, il quale può essere tentato di ragionare, nella gestione dell’infrastruttura, avendo in mente i vantaggi per Italgas a danno dei suoi concorrenti.
 
Leonardo Bellodi ›
Eni
Non entro nella questione proprietà pubblica-proprietà privata. Faccio una premessa di carattere generale, collegandomi al capitolo degli approvvigionamenti internazionali. Voi sapete che in questo momento dieci ore del nostro tempo, sabato e domenica compresi, sono dedicate a tematiche internazionali, e in particolare alla Libia e alle sue ripercussioni sui flussi di gas. Anche dopo l’incidente nucleare di Fukushima, si profila nuovamente un mercato del gas estremamente tight, con prezzi in crescita. In tutto questo siamo qui ad occuparci di Snam rete gas. Mi chiedo se non siamo un po’ anacronistici a parlarne. Noi continuiamo ad arrovellarci sulla rete interna, mentre occorrerebbe vedere dove sta veramente il problema ovvero, secondo noi, a monte dove abbiamo due o tre Paesi produttori che controllano le forniture, decidendo, di fatto, i prezzi. Ho l’impressione quindi che ci stiamo confrontando su un tema che forse non è d’attualità, e comunque non così rilevante sul versante approvvigionamenti e prezzi.
Con questo non dico che stiamo perdendo tempo ma se guardiamo cosa fa la concorrenza e cosa scrivono i giornali altrove, in questo momento storico non li vediamo certo affaccendati sulle reti interne. Questa è almeno la mia impressione. Per quanto riguarda le ragioni per l’unbundling proposte da Stagnaro, vorrei precisare innanzitutto che non si tratta di un problema di costo del trasporto.
Il costo è una variabile indipendente dalla struttura societaria, trattandosi di un’attività regolata. Credo che tutti siano d’accordo che Snam è gestita in modo efficiente, e che questa efficienza si riflette nella tariffa. Il discorso unbundling non rileva ai fini del costo e, quindi, della tariffa di trasporto. Se siamo d’accordo su questo, possiamo arrivare a discutere della necessità dell’ownership unbundling. Sicuramente sarebbe necessario se fossero stati denunciati a carico di Snam comportamenti discriminatori di rifiuto di accesso alla rete o vi fossero evidenze di una “politica” di sub-investimento strategico. E lo stesso vale se ci fosse il “reale” rischio di conflitto di interesse tra l’attività di trasporto da una parte e quella di produzione e vendita dall’altra, o se avessimo evidenza che il mercato del gas in Italia sia “bloccato” nel suo processo di liberalizzazione per cause imputabili a Snam. Analizziamo queste fattispecie una ad una. Anzitutto, è un dato di fatto come le autorità competenti in materia non abbiano riscontrato negli ultimi anni alcun comportamento discriminatorio nella gestione della rete in termini né di accesso alla stessa né di politiche di sub-investimento. E infatti oggi l’Italia può contare, grazie alla politica di investimento realizzata da Snam, su una rete di trasporto senza congestioni e che consente l’uso ottimizzato di tutti i gasdotti di importazione. Inoltre, guardando i numeri, è evidente come non sussista neanche un reale rischio di “conflitto di interessi” tra l’attività di trasporto e quella di vendita del gas, dato che quest’ultima pesa per solo l’1% dei risultati del gruppo. Mi chiedo perché una società come Eni dovrebbe correre dei rischi enormi a livello reputazionale ed economico, gestendo opportunisticamente la rete di trasporto, per avvantaggiare un’attività che vale così poco. Infine, venendo agli effetti sul mercato, negli ultimi quattro anni la nostra quota si è ridotta di oltre il 20%. Tradotto in altre parole, non mi sembra che l’attuale assetto della rete di trasporto abbia precluso l’apertura del mercato italiano alla concorrenza. Comunque, nel momento in cui Snam è nella sfera proprietaria di Eni, e la capogruppo non abusa della sua posizione di mercato, l’eventuale cessione è una decisione aziendale. Al riguardo, Eni non ha preclusioni dogmatiche rispetto alla possibile vendita di Snam rete gas. Il punto è che ne rivendichiamo la titolarità della decisione. È difficilmente accettabile vendere iuri imperii, anche perché essere obbligati a cedere un asset entro un termine prefissato e tra l’altro conosciuto (marzo 2012) significa essere messi nella condizione in cui il prezzo non lo fa il venditore ma lo fa il compratore.
 
Carlo Stagnaro ›
Bellodi dice che non c’è una ragione per cui un soggetto formalmente privato come Eni debba essere costretto a vendere un suo asset. Per me invece ci sono alcune ragioni fondamentali. È vero, nessuno può costringere il gruppo a vendere Saipem o una centrale Enipower: se qualcuno lo proponesse, sarei contrario senza se e senza ma. Ma qui stiamo parlando di un monopolio naturale regolato. L’unbundling proprietario è una condizione fondamentale per garantire la tutela sia dei meccanismi concorrenziali, sia del consumatore. A ciò si aggiunge il fatto che non stiamo parlando della colonizzazione della Luna, dove l’investimento nei tubi presenta esso stesso dei profili di rischio e dove quindi può essere giustificato un rilassamento dei vincoli regolatori (come del resto si fa comunemente per tutte le nuove infrastrutture). Qui stiamo parlando di tubi che l’Eni di oggi ha ricevuto in eredità dall’Eni di ieri, cioè dal monopolio pubblico verticalmente integrato. In questo senso, Snam rete gas dà a Eni un autentico “reddito non guadagnato”, per usare un’espressione retrò. Ed è questo a far scomparire gli “scrupoli” e a differenziare nettamente l’oggetto della discussione di oggi da richieste analoghe ma relative ad asset nei segmenti concorrenziali della filiera.
 
Federico Testa ›
Anche io non posso che confermare la perplessità sul fatto che ci sia un’impresa verticalmente integrata che ha anche la rete di trasporto e che quindi possa limitare lo sviluppo del mercato interno. Bellodi dice che Snam ha fatto tutti gli investimenti necessari – anche se ci sono evidenze diverse – ma il punto non è questo. Il punto è, come recita il paper che abbiamo scritto con Carlo Stagnaro E non indurci in tentazione. Se l’azienda ha la possibilità di farlo, magari quando l’impresa fosse in mano a dirigenti meno scrupolosi, potrebbe insorgere la tentazione di abusare della rete: e mi pare giusto che le regole che una nazione si dà debbano puntare ad una regolazione che “non induca in tentazione” nessuno.
 
Paolo Messa ›
Libero mercato e interesse nazionale sono facce della stessa medaglia e non sempre, come abbiamo visto, si sovrappongono. Ma – e lo domando a Bellodi – se Snam rete gas fosse ceduta, con l’accordo di Eni e ad un prezzo congruo, ad un soggetto pubblico quale Terna?
 
Leonardo Bellodi ›
Non sono titolato a parlare di scelte strategiche, in ogni caso, ove ci fosse una reale opportunità economica, Eni non avrebbe pregiudizi nella vendita di Snam. Per quanto riguarda la possibile vendita a Terna non se ne ravvedono i razionali strategici e industriali. So che in Inghilterra c’è stata un’operazione sulla National Grid che ha realizzato sinergie per 110 milioni di sterline, ma tutte concentrate nell’area amministrativa (chiudendo un headquarter su due), non sull’attività industriale. Questo non può essere il driver per un’operazione di questo genere, si tratta di due reti completamente diverse.
 
Paolo Messa,
fondatore e curatore di Formiche
Carlo Stagnaro,
direttore ricerche e studi Istituto Bruno Leoni
Leonardo Bellodi,
responsabile relazioni istituzionali Eni
Federico Testa,
docente di economia e gestione delle imprese presso l´Università degli studi di Verona e deputato Pd
Mario Sechi,
direttore del quotidiano Il Tempo

La politica del tubo

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