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Esattamente trent’anni fa, il politologo americano Samuel Huntington prevedeva che il mondo dopo la guerra fredda sarebbe stato dominato da scontri di civiltà. Per “civiltà” intendeva macroaree culturali e religiosi: il mondo ortodosso, l’Oriente islamico, l’Occidente cristiano, nonché le “civiltà” indù e buddiste. In un momento in cui l’ex Jugoslavia si stava disintegrando in una sanguinosa guerra civile di stampo confessionale – croati cattolici contro serbi ortodossi contro bosniaci musulmani – la sua tesi suonava alquanto plausibile.

Anche l’11 settembre e la guerra ai fondamentalisti islamici in Afghanistan e in Iraq da parte di una coalizione di Paesi occidentali guidata dall’America sembravano confermare la tesi. Nelle ultime settimane, gli attacchi terroristici di Hamas e della Jihad islamica palestinese contro cittadini israeliani, con l’intento dichiarato di spazzare via lo Stato di Israele, e la rappresaglia delle Forze di Difesa israeliane contro questi gruppi terroristici, che sta causando anche la morte di un gran numero di civili palestinesi a Gaza, potrebbero sembrare aggiungere nuova carne al fuoco all’idea che le guerre di oggi siano combattute tra religioni. Tuttavia, tra le cose che Huntington aveva previsto, c’era quella che fosse altamente improbabile una guerra tra Russia e Ucraina, dato che entrambe appartenevano alla civiltà ortodossa. Su questo si sbagliava.

Secondo l’Uppsala Conflict Data Program, i conflitti più letali del 2022 sono stati guerre in cui i combattenti di entrambe le parti erano cristiani ortodossi: la guerra tra il governo dell’Etiopia e il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray ha causato circa 100.000 morti nel solo 2022, mentre l’invasione russa dell’Ucraina ha provocato un numero di vittime quasi equivalente. Riassumendo questa triste storia di trent’anni di conflitti armati, è evidente che le religioni giocano un ruolo cruciale nello sviluppo di guerre internazionali, seppur non vengano sempre combattute tra macroregioni religiose e culturali come immaginava Huntington.

I popoli vanno in guerra per questioni che ritengono sacre. I sociologi della religione hanno capito da tempo che ciascuna comunità ha il potere di sacralizzare praticamente qualsiasi aspetto della loro vita: se un clan può sacralizzare il suo animale-totem nella lotta contro un altro clan, gli individui possono fare lo stesso con un pezzo di terra, una nazione, i loro leader politici, un’idea astratta o, in modo più innocuo ma spesso piuttosto violento, la loro squadra di calcio preferita. Una comunità si definisce in base a ciò che costruisce come sacro. Le guerre sacralizzate producono nuovi santi: i soldati caduti, le vittime della guerra. Non a caso, le nostre città europee sono piene di questi monumenti. Vediamo questo meccanismo secolare all’opera anche nei conflitti che ci circondano oggi: la Russia, ad esempio, ha costruito l’idea del Russki Mir, un antico territorio sacro che include l’Ucraina, per giustificare l’invasione del paese vicino sovrano. Israele e i palestinesi, allo stesso tempo, rivendicano ciascuno la proprietà di luoghi e territori che considerano sacri.

Gli individui con posizioni in contrasto con il credo politico dominante possono essere definiti, dal punto di vista del potere statale sacralizzato, “eretici”. Un esempio evidente in questo senso può essere quello di un sacerdote della Chiesa ortodossa russa, che, in una preghiera che il Patriarca di Mosca aveva rivolto a tutte le chiese a sostegno della guerra della Russia in Ucraina, ha cambiato una parola fondamentale per il significato della sua stessa predica. Il testo della preghiera riportava la frase “Alzati, o Signore, per l’aiuto del tuo popolo e concedici la vittoria con la tua potenza”. Il sacerdote ha invece pregato “Alzati, o Signore, per l’aiuto del tuo popolo e concedici la pace con la tua potenza”.  Il sacerdote, denunciato da un parrocchiano per aver cambiato la parola “vittoria” con “pace”, è stato punito per disobbedienza.

Le guerre sono terribili atti di “costrizione”: una volta che il processo di sacralizzazione dei territori, delle nazioni e dei nuovi martiri si è instaurato, diventa molto difficile sottrarsi alla sua logica. Molti individui che inizialmente possono scegliere di tenersi alla larga dal processo di sacralizzazione, vi si ritrovano poi coinvolte: questo discorso vale per gli ucraini ortodossi che devono continuare a difendersi dall’aggressione russa agli abitanti dei kibbutzim in questi giorni assediati dei terroristi di Hamas.

In questa situazione di “sacralizzazioni antagoniste”, può sembrare controintuitivo rivolgersi alle religioni per trovare una possibile via d’uscita. Il problema non potrebbero essere, forse, proprio le religioni e i loro meccanismi di sacralizzazione? Nel corso della storia, le religioni hanno favorito processi di estremismo che hanno indotto il ricorso alla violenza. Al contempo è anche vero che uomini e donne religiosi sono stati capaci di spettacolari “eresie” contro quelli che erano, al loro tempo, i “sacri dominanti”: si pensi, per esempio, a figure come Martin Luther King contro la segregazione razziale, Nelson Mandela contro il regime di apartheid in Sudafrica, Maria Skobcova e Dietrich Bonhoeffer contro il nazionalsocialismo.

La differenza tra il sacro e il religioso o, più precisamente, tra sacralizzazioni e religioni, sarà il tema della conferenza “Religions in Dialogue Forum” che si terrà lunedì 6 novembre 2023 alla Luiss. Il noto sociologo di Georgetown University José Casanova parlerà di “Ambivalenza del sacro: Religioni per la pace o per la guerra santa” in dialogo con Leonardo Emberti Gialloreti, coordinatore del Dialogo interreligioso della Comunità di Sant’Egidio, Victor Fadlun, presidente della Comunità Ebraica di Roma; con Pasquale Ferrara, direttore generale per gli Affari Politici e la Sicurezza del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; Abdellah Redouane, segretario generale del Centro Islamico Culturale d’Italia; Francesca Maria Corrao, professore di Cultura e Lingua Araba alla Luiss.

Qui il programma dell’evento “Religions on War and Peace”

 

Perché il sacro e la religione sono elementi cruciali per lo sviluppo di conflitti

Di Kristina Stoeckl

La differenza tra il sacro e il religioso o, più precisamente, tra sacralizzazioni e religioni, sarà il tema della conferenza “Religions in Dialogue Forum” che si terrà lunedì 6 novembre 2023 alla Luiss. Il noto sociologo di Georgetown University José Casanova parlerà di “Ambivalenza del sacro: Religioni per la pace o per la guerra santa”. Kristina Stoeckl, professore ordinario di sociologia politica presso il dipartimento di Scienze Politiche alla Luiss, ne anticipa i contenuti a Formiche.net

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