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La Chiesa, ancora una volta, secondo la definizione di San Paolo VI, si dimostra “Maestra di umanità” guidata dallo Spirito Santo. I Cardinali si sono trovati a dover decidere di fronte ad una straordinaria sfida, ossia la Cattolicità si è pressoché sovrapposta alla geografia mondiale e da essa giungono segnali straordinari che aiutano a superare la stanca vulgata della “Chiesa in crisi”, che per ragionare sulla questione da affrontare, ossia la “crisi della fede” interroga innanzitutto l’Italia e l’Europa. Si può comprendere ciò rileggendo un’intervista di Massimo Cacciari fatta dal direttore Monda sull’Osservatore Romano del 18 luglio 2019 dove afferma: “Il problema non è il venir meno di determinati valori, ma il fatto che questa Europa è vecchia, forse decrepita e non si può chiedere a un vecchio di non aver paura, di essere audace. La domanda allora è: c’è la stoffa per ritessere un discorso politico, per riformare una élite politica in Italia, in Europa? Perché questi nazionalismi, i sovranismi sono nient’altro che l’effetto del disgregarsi di queste precedenti culture, che non sono state al passo con la trasformazione. Sono il segno che l’Europa è vecchia, che non produce più, che è un terreno sterile; bisogna quindi trovare nuovi fertilizzanti. E penso, da non credente (ma è qui che nasce la mia attenzione al mondo cattolico) che forse il fertilizzante può venire proprio dalla Chiesa: discutendo, dialogando, dibattendo, polemizzando… È il mondo cattolico che può essere il segno di contraddizione, che può rimettere in movimento qualcosa”.

Dipanando il filo del ragionamento occorre prendere spunto dall’Omelia del Cardinal Re, Decano del Sacro Collegio, nella Messa pro eligendo del Pontifice dove parla di unità dei cattolici: questo passaggio conduce all’elezione del Santo Padre Leone XIV e alla direzione contenuta nel nome stesso scelto rifacendosi esplicitamente a Leone XIII, Pontefice che ha segnato non solo un’epoca ma la stessa Chiesa e che è protagonista dell’avvio del miglior pensiero politico di cattolici, il popolarismo – che arriva fino a quei padri del sogno europeo Adenauer, De Gasperi e Schuman, ben additati ad esempio nel messaggio al gruppo parlamentare del Ppe a Bruxelles nel 2023 da papa Francesco, che indica la strada dell’unità intorno ai principi della DSC in campo sociale e politico.  Considerando l’influenza su don Luigi Sturzo che lo definisce “Papa dei lavoratori” e “Papa sociale” in particolare grazie all’Enciclica “Rerum Novarum” del 1891 anche se occorre risalire alla “Fin da principio” dove il clero era incoraggiato sul piano dell’azione sociale: “È manifesto, Venerabili fratelli, che quanto abbiamo sin qui raccomandato, lungi dal menomamente nuocere, giova anzi in singolar modo a quella operosità sociale del Clero, da Noi in più occasioni inculcata come necessaria ai giorni nostri”.

Dunque riandare ad un Pontefice, che visse un cambio di epoca come l’attuale, che rispose al “Capitale” di Marx e poi con l’enciclica “Immortale Dei” del 1885 alle teorie liberali e si pose in contrasto con le colonizzazioni ideologiche a difesa della povera gente, ha certamente nel tempo che stiamo vivendo un’estrema attualità sia per il clero sia per i laici perché, di minimo, riapre proprio la riflessione sul protagonismo dei cattolici nel sociale e in politica evidenziando la portata negativa di quella che nel centenario “dell’Appello ai Liberi e forti” nel 2019 il Cardinal Bassetti, allora presidente della Cei, definì frattura da superare tra “cattolici della morale” e “cattolici del sociale”.

Papa Pecci è stato, tra l’altro, un papa “democratico cristiano” pur da non intendersi nella stessa maniera di San Paolo VI secondo la definizione dello storico Emile Poulat e in un tempo “pionieristico” anche problematico con la prima DCI: infatti, come ha ricordato lo storico Gabriele De Rosa, è la Roma di Leone XIII, che definisce il concetto di “democrazia cristiana”, a propiziare l’incontro tra Giuseppe Toniolo, grande economista, sociologo, oggi Venerabile e teorico dell’ideale democratico cristiano e Sturzo che affermò: “Io lo incontrai a Roma e ne divenni discepolo affezionato” (cfr. Sturzo, La mia vocazione politica).

Un concetto questo democratico-cristiano che, nel tempo, ha poi avuto una dimensione politica e poi organizzata, per cattolici impegnati, che ne ha assunta anche una ecclesiale da frangiflutti, più o meno sgarrupato a volte, contro le infiltrazioni ideologiche nelle comunità e le divisioni contribuendo, sostenendo la vocazione dei laici, spesso derisi per l’idea di testimonianza da chi si limita alla geografia della politica senza identità, anche al “mettere” della stessa Chiesa, alla missione su quei confini individuati da Papa Leone XIV nella sua prima omelia durante la S. Messa nella Cappella Sistina: “Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione”.

Un simile richiamo possente all’identità, all’impegno, sembra far emergere un collegamento con il pensiero sturziano. Appare confermato nel discorso al corpo diplomatico del 16 maggio in cui il Santo Padre tra l’altro, in un intervento ricco di indicazioni, delinea le tre parole chiave, pilastri dell’azione missionaria della Chiesa e della diplomazia Vaticana, ossia pace, giustizia, verità. Parole che sono anche architravi del pensiero popolare come è possibile cogliere riprendendo uno dei vari passi ad essi dedicati del grande sacerdote siciliano, riscoperta di un’aspirazione ad una triplice autonomia di analisi, valutazione, azione: “Gli elementi della lotta sociale saranno dati da interessi terreni, sia economici che politici, ma la ragione non può essere che una, la verità e il bene; che nel fatto assumono i caratteri di giustizia e amore del prossimo; quella giustizia che alla venuta di Gesù Cristo si baciò con la pace: iustitia et pax osculatae sunt, quell’amore del prossimo che fu il grande comandamento simile al primo di amar Dio, dato da Gesù Cristo, Dio e Uomo, che per Dio e per l’Uomo compì il sacrificio dell’amore e pagò la soddisfazione di giustizia; per cui a ragione diceva Giovanni apostolo: ‘in ciò vi riconoscano per discepoli di Gesù Cristo perchè l’un l’altro vi amate?; amatevi non con le parole, ma con le opere e la verità'”, (cfr. Sturzo, La democrazia cristiana nel pensiero e nella vita).

Leone XIV e il pensiero di Sturzo. Il filo conduttore secondo Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

L’omelia del Cardinal Re, Decano del Sacro Collegio, nella Messa per il pontifice parla di unità dei cattolici, passaggio che conduce alla direzione contenuta nel nome stesso scelto rifacendosi esplicitamente a Leone XIII, papa che ha segnato non solo un’epoca ma la stessa Chiesa e che è protagonista dell’avvio del miglior pensiero politico di cattolici, il popolarismo. L’opinione di Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari-Italia Popolare

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