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Oggi a Dublino è stata adottata all’unanimità la convenzione per la messa al bando delle bombe a grappolo. 109 paesi hanno firmato quello che il Comitati internazionale della Croce rossa ha definito “accordo storico”.
Grandi assenti: Cina, Usa e Russia. Ma non c’è neanche da stupirsi se si considera che proprio questi tre giganti sono tra i maggiori produttori di cluster bombs. E che, soprattutto, non sono annoverati tra i firmatari delle più importanti convenzioni internazionali a difesa dei diritti umani basilari.
Segnale positivo, invece, si registra – con un po’ di stupore – da parte della Gran Bretagna che ha deciso di firmare la convenzione. “Sembra che Gordon Borwn sia personalmente intervenuto per ottenere un trattato forte. La Gran Bretagna metterà da parte queste munizioni e ciò contribuirà a stigmatizzarle nel resto del mondo” ha detto Simon Conway della ONG inglese Landmine action.
Le bombe a grappolo furono progettate dai tedeschi e usate per la prima volta durante la seconda guerra mondiale, in un blitz contro gli inglesi. Attualmente sono disseminate in almeno 25 paesi, mettendo a repentaglio – secondo quanto riportato dalla ong belga Handicap International – la vita e la salute di circa 400 milioni di persone”. Il maggior numero di vittime (che quasi sempre sono civili) si registra in  Afghanistan, Albania, Arabia Saudita, Bosnia e Herzegovina, Cambogia, Ciad, Cecenia, Croazia, Eritrea, Etiopia, Iraq, Israele, Kosovo, Kuwait, Laos, Libano, Montenegro, Nagorno-Karabakh (Azerbaijan), Serbia, Sierra Leone, Sudan, Siria, Tajikistan, Vietnam e Sahara Occidentale (Marocco). L’ultimo caso ufficiale di largo uso di cluster bombs è stato nel Libano del Sud, dove quasi il 90% della terra usata per la pastorizia e l´agricoltura è ancora oggi contaminata da queste bombe inesplose che gli israeliani lanciarono durante la guerra nell´estate del 2006. Quell’estate più di 200 persone morirono per lo scoppio di bombe a grappolo. Altre centinaia rimasero mutilate per sempre.
Molti soldati dell’Unifil II raccontano che le operazioni di sminamento continuano ad essere estremamente pericolose. È frequente che luoghi sminati permangano “insicuri”. Dopo giorni di pioggia, ad esempio, può accadere che una cluster bomb, che dopo esser stata lanciata si era impigliata tra i rami di un albero, cada perché appesantita dalla pioggia. O, ancora, che cada spinta da un colpo improvviso di vento.
 Lavorando per rimediare al passato, non si può tuttavia che iniziare, con il passo di oggi, a tirare un sospiro di sollievo per il futuro.
“È una vittoria straordinaria – spiega il direttore della Campagna italiana contro le mine, Giuseppe Schiavello, continuando – È un trattato raggiunto in pochissimo tempo (un anno e cinque mesi) ed è un successo perché mette al bando tutte le tipologie di cluster bomb, e ha superato le resistenze di chi voleva affossarlo”.

Divieto di cluster bombs

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