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In Italia, i governi “tecnici” hanno contribuito a rasserenare il clima ma, visti con la serenità derivante dalla distanza dagli eventi, non hanno avuto grandi risultati in materia economica. Gli esiti dei governi “tecnici” Ciampi e Dini sono analizzati in due documenti della Banca d’Italia – i Temi di discussione n. 334 e 335. Il percorso definito a Maastricht – giusto o errato che fosse – ha avuto costi maggiori nei Paesi che invece di seguirlo gradualmente ma con perseveranza, hanno alternato “episodi di restrizione” (di politica di bilancio) con “episodi di espansione”; si sono disorientati gli agenti economici interni e internazionali e si è pagato un prezzo più alto del dovuto. L’Italia ha effettuato un forte aggiustamento nel 1991-‘93 (quasi il 6% del Pil) seguito però da una pausa fino al ‘95-‘97. La manovra della primavera 1995 (governo Dini) è stata effettuata essenzialmente operando sulle imposte indirette attizzando aumenti dei prezzi.
 
Questi errori “tecnici” hanno accentuato l’effetto di un altro errore “tecnico” compiuto a fine ‘89: la decisione di entrare nella fascia di oscillazione stretta dello Sme (2,25%) e contestualmente rimuovere le ultime vestigia di controlli valutari. Sarebbe stato preferibile abolire quel che restava dei controlli, fare oscillare per qualche mese la lira nella fascia larga (6%), vedere dove il cambio si assestava e entrare, poi, in quella stretta. Si sarebbe evitato il rischio di un sovrapprezzamento ancora sulle nostre spalle. Allora, Guido Carli era ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi governatore della Banca d’Italia e Lamberto Dini direttore generale. Infine, il principale merito del governo Dini, la riforma delle pensioni, è stato corredato da un periodo di transizione variamente stimato dai 18 ai 36 anni (per tener conto dei trattamenti di reversibilità), nel 1995 la spesa previdenziale pubblica era il 13,7% del Pil, nel 2011 il 15,3.
 
I monocolore “tecnici” del periodo della “solidarietà nazionale”, nati dalla crisi valutaria del gennaio 1976, sono stati contrassegnati da un deprezzamento della lira del 16% tra il 1976 e il 1978, un tasso d’inflazione che nel 1978 superava di dieci punti quello della Germania, un forte incremento del debito pubblico. Le due “riforme” cardine di quel periodo – la normativa sulla riconversione industriale e il varo del servizio sanitario nazionale – si sono rivelate poco efficienti: venivano modificate già all’inizio degli anni Ottanta.
 
Cattiva sorte o qualcosa di fondo che non funziona nel modello? Ci fu sviluppo nell’Atene oligarchica, ma non tecnocratica, di Pericle mentre Sparta, affidata a “tecnici”, ebbe un triste destino. Secondo Karl Wittfogel, gli Imperi “idraulici” (Babilonia, Egitto, Inca) governarono i corsi d’acqua ma bloccarono la crescita. Per Douglas C. North, premio Nobel per l’Economia, lo sviluppo è di norma associato a giochi cooperativi e bassi costi di transazione scaturenti dalla politica e dal suo corretto funzionamento. Robert Putman ha applicato il “metodo North” all’Italia: in quella parte dove sono cresciute “repubbliche comunali” piene di politica c’è stato sviluppo, mentre c’è stata stagnazione in quelle dove i re regnavano ma il governo era affidato a tecnocrazie. Nel 2010, la Banca mondiale ha pubblicato uno studio comparato di Brian Levy e di Francis Fukuyama: giunge a conclusioni analoghe.

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