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La mia visita a Bengasi a maggio per incontrare il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) libico, coordinata con l’alto rappresentante dell’Unione europea Catherine Ashton e con gli alleati della Nato, è stata la prima di un ministro degli Esteri occidentale da quando la crisi è scoppiata. Ciò che ho visto mi ha riportato alla mente il mio Paese vent’anni fa, quando la Polonia conobbe le prime libere elezioni – un evento che, insieme alla caduta del Muro di Berlino appena sei mesi dopo, divenne il simbolo della fine della Guerra fredda. Le popolazioni in transizione da un regime autoritario (in Polonia in modo pacifico nel 1989, in Libia nel sangue oggi) devono compiere scelte che decideranno il loro futuro per decenni. Come dovranno essere trattati i peggiori criminali del passato regime e la polizia militare, con i suoi insidiosi archivi? L’ex partito dominante dovrà essere messo al bando? Come potrà essere garantito il controllo civile e democratico delle forze armate e della polizia? Che ruolo dovrà giocare la religione nella vita pubblica? La costituzione deve realizzare un sistema presidenziale o uno parlamentare?
 
Il mondo post-comunista fece queste scelte vent’anni fa. Scelte – giuste o sbagliate che siano – molto diverse adottate in Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, nei Paesi baltici, nell’ex Unione sovietica, in Asia centrale e in Germania orientale. I risultati costituiscono un fondamentale archivio di esperienze. I riformatori arabi di oggi possono perciò attingere ai nostri successi, ed evitare i nostri errori. Noi mitteleuropei conoscevamo la miseria del comunismo. E però sapevamo cosa volevamo al suo posto: un sistema basato sui moderni valori della democrazia di mercato europea. La costruzione di strutture democratiche richiede tempo, organizzazione, sofferenze e pazienza. Ma alla fine paga. Nel mese di luglio la Polonia assumerà la presidenza della Ue per la prima volta; ci siamo guadagnati questa responsabilità di guida dell’Europa per i prossimi sei mesi.
 
La Polonia ha appreso a caro prezzo che è assai più semplice chiedere un cambiamento e sfidare l’oppressione che formulare e realizzare un programma chiaro, ragionevole per un futuro migliore. Oggi, attraverso il Nordafrica, milioni di persone stanno chiedendo di aver voce sul loro futuro. In Marocco, il re ha annunciato riforme costituzionali che garantiscono la partecipazione dei cittadini al processo decisionale nazionale, una magistratu- ra indipendente e nuove autorità regionali. Queste riforme misurate ed inclusive possono essere un modello anche per altri. E i riformatori del mondo arabo hanno ricevuto un formidabile sostegno dal Qatar, che ha fornito un esempio di forte leadership specialmente in Libia, ma anche attraverso la rete televisiva all-news Al Jazeera, una genuina forza di cambiamento nella regione.
 
Sono andato a Bengasi per verificare le intenzioni e la credibilità del Consiglio nazionale di transizione e dell’opposizione libica. Abbiamo portato medicinali al Centro medico di Bengasi, dove sono trattati i feriti di Misurata e di altre località. Attorno al tavolo c’erano improbabili alleati: alcuni erano stati funzionari di primo piano del regime di Gheddafi; altri erano stati per lunghi anni in prigione, con una condanna a morte. Erano uniti nel riconoscere che il Paese merita un nuovo inizio. Mi è tornato in mente la “tavola rotonda” polacca del 1989, dove Solidarnosch sedeva a fianco dei comunisti al potere, per negoziare la fine del regime.
 
Ho parlato con franchezza al presidente del Cnt, Chairman Mustafa Abdul Jalil, al vicepresidente Abdul Hafez Ghoga, e al ministro della Difesa Jalal Dheili, egli stesso un ex prigioniero politico. Erano grati per il coinvolgimento della comunità internazionale, ma descrivevano con parole commoventi le gravi perdite che Gheddafi ha inflitto al suo stesso popolo. Gli ho detto che noi consideriamo i membri del Cnt come i nostri nuovi legittimi interlocutori politici in Libia e che siamo pronti a sostenerli, ma che in cambio ci aspettiamo che il Cnt faccia dei passi concreti in direzione dei migliori standard di trasparenza democratica. Devono rendersi conto che hanno bisogno di un piano – i momenti rivoluzionari sono momenti che vanno concretizzati. La Polonia è disposta ad aiutarli addestrando i funzionari del Cnt. A seguito di questa visita, il mio messaggio ai leader europei è duplice. Primo, il Cnt libico è la migliore scommessa che possiamo fare sul futuro della Libia. I suoi leader stanno cooperando con l’obiettivo di portare a compimento riforme reali, in un modo che era impensabile pochi mesi fa. Meritano l’appoggio energico del mondo. Secondo, mentre l’Europa ha molto da offrire ai suoi vicini nordafricani in termini di aiuti finanziari, consulenza e addestramento, questa regione ha bisogno di trovare la sua strada verso la libertà e il successo. Affrontiamo il compito nel nostro migliore spirito di solidarietà europea, ma anche con una certa umiltà. I Paesi ex comunisti dell’Europa possono dare un contributo speciale al processo di transizione nel Nordafrica. Più di tutti noi sappiamo che un percorso sostenuto di riforme deve essere accompagnato dall’assunzione di responsabilità, mobilitando le energie del popolo, non basandosi su un aiuto esterno tanto bene intenzionato quanto, spesso, male indirizzato.
 
La Polonia è pronta a guidare questa strada, da sola e in quanto presidente della Ue. Per esempio, l’ex presidente Lech Wałesa ha visitato di recente Tunisi offrendole aiuto all’interno di un programma polacco finalizzato a realizzare riforme costituzionali e leggi elettorali in Tunisia
I popoli del Nordafrica sanno ciò che non vogliono – e ciò che non accetteranno. La loro difficoltà è capire cosa vogliono, e come costruirlo. Per quello che ho visto a Bengasi, vi è una buona possibilità che i leader emergenti della Libia saranno discreti partner, partner per buone politiche realistiche.
 
Project Syndicate, 2011. Traduzione di Marco Andrea Ciaccia

Una testimonianza dal fronte della democrazia

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