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“Gli uomini hanno fatto milioni di leggi per punire i delitti, e non ne hanno stabilita una per premiare le virtù”. Così Giacinto Dragonetti nel libello Delle virtù e dei premi che diede alle stampe, a Napoli, nel 1766 poco dopo la pubblicazione Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria. Nel riconoscere che “un altro mezzo di prevenire i delitti è quello di ricompensare la virtù”, Beccaria osservava che: “Se i premi proposti dalle accademie ai scopritori delle utili verità hanno moltiplicato e le cognizioni e i buoni libri; perché i premi distribuiti dalla benefica mano del sovrano non moltiplicherebbero altresì le azioni virtuose? La moneta dell’onore è sempre inesausta e fruttifera nelle mani del saggio distributore”. Per Luigino Bruni, Dragonetti, però, intendeva andare oltre Beccaria “immaginando cioè una vera e propria legislazione dei premi alle virtù, in particolare alle virtù politiche”.
 
Per lo studioso napoletano il sistema penale è fondamentale per prevenire i delitti, ma non è sufficiente a creare le condizioni necessarie per lo sviluppo civile. La riflessione di Dragonetti si colloca nella tradizione del repubblicanesimo romano. Nel Digesto si legge: “Bonos non solum metu poenarum, verum etiam praemiorum quoque exhortatione efficere capientes”, anche se – scrive sempre Dragonetti – “i Legislatori romani conobbero la necessità delle ricompense, le accennarono, ma non ebbero il coraggio di formarne il codice”. Un codice dei premi, quindi, che affianchi quello delle pene. L’intuizione di Dragonetti (e di Rudolph Von Jhering) è, oggi, approfondita da Bruni nel saggio L’ethos del mercato (da cui sono, anche, tratte le citazioni) che la ritiene “solo in parte” in linea con la teoria economica dell’incentivo e con l’attuale diritto premiale, incentrati sull’interesse privato che produce, solo in via indiretta, benefici comuni. Per Dragonetti, il codice premiale è piuttosto uno strumento per funzionalizzare l’azione individuale al bene comune. Bruni si prova a sviluppare l’intuizione di Dragonetti e prospetta diverse soluzioni per immaginare “il premio alla virtù come via allo sviluppo economico e civile”. Tra queste: “Si premiano le virtù ricompensando correttamente le virtù civili, creando o riformando istituzioni che favoriscano comportamenti cooperativi, e scoraggino quelli non cooperativi e opportunistici”, sia nell’ambito politico che nella società civile. Si istituiscono premi “all’azione civilmente virtuosa… che aumentano il benessere o la felicità di chi li riceve, e che hanno il principale scopo di far aumentare queste azioni rispetto a quelle incivili”.
 
La riforma della giustizia e delle regole dei mercati sono due grandi temi del dibattito, culturale e politico, del nostro Paese. La riforma dei mercati è entrata anche nella agenda dei vertici internazionali.
Le intuizioni della tradizione tutta italiana della economia civile, alla quale Bruni riconduce la riflessione di Dragonetti, sono, però, ignorate dalle proposte su cui si è incanalato il confronto tra tecnici e politici.
Si tratta di proposte che non vanno oltre i presupposti ideologici dell’individualismo metodologico e dell’homo oeconomicus. Nessuno vuole disconoscere i meriti dell’ideologia della sovranità del mercato.
Ma Ernst-Wolfgang ha mostrato come le radici della crisi siano nella stessa logica del sistema.
“Il capitalismo soffre del suo punto di partenza, della sua idea-guida in quanto razionalità strumentale e della forza costruttiva del sistema. Pertanto la malattia non si può debellare con rimedi palliativi, ma solo attraverso il rovesciamento del suo punto di partenza. Al posto di un invadente individualismo proprietario (…) devono subentrare un ordinamento normativo e una strategia d’azione che prenda le mosse dall’idea che i beni della terra (…) non spettano ai primi che se ne impossessano e li sfruttano, ma sono riservati a tutti gli uomini, per soddisfare i loro bisogni vitali e ottenere il benessere. Questa è una idea-guida fondamentalmente diversa; ha quale punto di riferimento la solidarietà degli uomini nel loro vivere insieme (e anche in concorrenza)”. Perché allora non provare a ripartire con un codice dei premi?
 
antonio.leozappa@studioleozappa.it

Giustizia. Dalle pene ai premi?

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