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La Costituzione pone in cima all’articolo che sancisce i caratteri e i compiti del presidente della Repubblica, l’espressione-chiave: “Rappresenta l’Unità nazionale”. Egli la rappresenta e la garantisce svolgendo un ruolo di equilibrio, esercitando con imparzialità le sue prerogative, senza subirne incrinature ma rispettandone i limiti, e ricorrendo ai mezzi della moral suasion e del richiamo a valori ideali e culturali costitutivi dell’identità e della storia nazionale. Ma se il rappresentare l’Unità nazionale è la stella polare del ruolo che mi è stato affidato dal Parlamento, è lì anche la ragione prima del mio impegno per le celebrazioni del 150esimo anniversario dello Stato italiano.
Dovrebbe trattarsi di un autentico esame di coscienza collettivo, che unisca gli italiani nel celebrare il momento fondativo del loro Stato nazionale. Riuscirvi non sarà facile, l’inizio è risultato difficile, ma cominciamo a registrare una crescita di interesse e di impegno, una moltiplicazione di iniziative anche spontanee.
 
Polemiche e contese sui rapporti tra il nord e il sud, per quanto si esprimano talvolta in termini e in toni estremi, e rumorose grida di secessione, trovano il loro limite obiettivo nel fatto che prospettive separatiste o indipendentistesono, e tali appaiono anche a ogni italiano riflessivo e ragionevole storicamente insostenibili e obiettivamente, inimmaginabili nell’Europae nel mondo d’oggi. Quel che preoccupa è dunque altro: è il possibile oscurarsi della consapevolezza diffusa di un patrimonio storico comune, il tendenziale scadimento culturale del dibattito e della comunicazione.
Quel che preoccupa è il seminare motivi di sterile conflittualità e di complessivo disorientamento in un Paese che ha invece bisogno di confermare e rafforzare la fiducia in se stesso e di veder crescere tra gli italiani il sentimento dell’Unità: nell’interesse dell’Italia e nell’interesse dell’Europa.
Le difficoltà nascono anche dal sovrapporsi e confondersi di piani diversi di discorso: il piano del giudizio storico scaturito da ricerche di valore scientifico; il piano delle contestazioni, talvolta chiaramente faziose e mistificatorie, del giudizio storico più autorevole; il piano delle rappresentazioni giornalistiche degli eventi storici, talora prive dell’auspicabile rigore; il piano di uno spregiudicato uso della storia, piegato alle contingenze della polemica politica. E questo può accadere più facilmente quando ci si occupi di vicende ed esperienze storiche a cui si avvicinano oggi italiani da esse distanti di circa sei generazioni, ma tendenti a considerarle con occhio contemporaneo.
Ben vengano, di fronte a ciò, in Italia e fuori d’Italia, tutte le iniziative volte a ristabilire giudizi storici ben fondati, e disinteressati, sui fatti e sui protagonisti del movimento per l’Unità, fuori di rievocazioni immaginarie e strumentali. Iniziative volte a ristabilire in primo luogo il giudizio di fondo sulla straordinaria portata che ebbe per l’Italia il compimento del processo unitario, la nascita dello Stato nazionale: come ho detto rivolgendomi mesi fa da Milano agli italiani di ogni parte del Paese, «se noi tutti, nord e sud tra l’‘800 e il ‘900, entrammo nella modernità, fu perché l’Italia si unì facendosi Stato». Venne superato così un pesante ritardo rispetto alla ben più precoce formazione di altri grandi Stati nazionali in Europa.
 
Cavour vide più lucidamente di chiunque altro il quadro internazionale con i condizionamenti oggettivi che ne derivavano in cui collocare la strategia del piccolo e ambizioso Regno di Sardegna e la questione italiana. Il sapersi muovere con audacia e duttilità, e con i necessari adattamenti, in questo contesto fu per Cavour fattore determinante di superiorità ai fini della guida del movimento nazionale italiano,e fattore non meno determinante per il successo ultimo della sua strategia al servizio della causa dell’Unità italiana. Quando, logorato da anni di dure fatiche e di “dolori morali”, “d’impareggiabile amarezza”, cessò di vivere il 6 giugno 1861, Cavour poté senza dubbio lasciare come suo estremo messaggio quello che “l’Italia era fatta”. Ma nel grande discorso per Roma capitale tenuto in Parlamento il 25 marzo, otto giorni dopo la proclamazione del Regno d’Italia, egli aveva affermato: «L’Italia ha ancor molto da fare per costituirsi in modo definitivo, per sciogliere tutti i gravi problemi che la sua unificazione suscita, per abbattere tutti gli ostacoli che antiche istituzioni, tradizioni secolari oppongono a questa grande impresa». Tra quei “gravi problemi” era destinato a risultare come il più complesso, aspro e di lunga durata il problema del Mezzogiorno, dell’unificazione reale, in termini economici, sociali e civili, e dei suoi possibili modi, tra nord e sud. Possiamo dire oggi che quella resta la più grave incompiutezza del processo unitario, dopo che nei decenni successivi alla morte di Cavour iniziative coraggiose e nuove congiunture internazionali favorevoli resero possibile il pieno compimento dell’unificazione territoriale del Paese.
Ma quel che è giusto dunque condurre oggi, cogliendo l’occasione del 150esimo anniversario della nascita dello Stato nazionale unitario, è una riflessione critica ed equilibrata sullo svolgersi del movimento risorgimentale; e quindi un esame degli sviluppi del nuovo Stato, della politica delle sue classi dirigenti, e dell’evoluzione della società italiana.
 
È stato un lungo tragitto quello dei 150 anni, che ha visto l’Italia crescere e trasformarsi, tra molte contraddizioni, portandosi dietro antiche tare, e conoscendo periodi bui e fatali cadute dopo la Prima guerra mondiale. Tuttavia, l’Unità nazionale ha retto anche a prove estreme, è tornata a vivere anche quando tra il 1943 e il 1945 sembrava che fosse stata mortalmente compromessa e spezzata. Unità, che la Costituzione repubblicana ha posto su fondamenta più solide promuovendo anche un profondo rinnovamento in senso autonomistico e regionalistico dello Stato nazionale, nato con forti tratti di centralizzazione uniformandosi al modello piemontese. Unità, infine, che rimane fondamento essenziale di ogni ulteriore, nuovo sviluppo del nostro Paese nel più impegnativo contesto europeo e nel più complesso quadro mondiale del nostro tempo. L’ininterrotto impegno dell’Italia come Paese costruttore di un’Europa sempre più integrata è stato decisivo per affermare il ruolo storico e garantire il progresso dell’Italia stessa e, nello stesso tempo, è stato prezioso per far avanzare il processo che ha visto da 60 anni crescere e trasformarsi il nostro Continente nel segno della democrazia. Su questa strada, lungo la quale ci attendono ardue sfide e nuove opportunità, l’Italia potrà tanto meglio procedere quanto più resterà saldamente unita sulle sue basi storiche e secondo l’ispirazione della sua Carta costituzionale.
 
Estratto dell’intervento pronunciato all’École Normale
Supèrieure di Parigi (www.quirinale.it)

Un esame di coscienza

La Costituzione pone in cima all’articolo che sancisce i caratteri e i compiti del presidente della Repubblica, l’espressione-chiave: “Rappresenta l’Unità nazionale”. Egli la rappresenta e la garantisce svolgendo un ruolo di equilibrio, esercitando con imparzialità le sue prerogative, senza subirne incrinature ma rispettandone i limiti, e ricorrendo ai mezzi della moral suasion e del richiamo a valori ideali e culturali…

Paolo Messa modera il convegno 'L'economia sociale di mercato'

L´appuntamento, che fa parte del ciclo di incontri ´i giovedì socio-economici dell´Ipres´, vedrà la partecipazione di  Corrado Petrocelli, Rettore dell´Università degli studi di Bari ´Aldo Moro´, Michele Emiliano, sindaco di Bari, Rocco Buttiglione, vicepresidente della Camera dei deputati, Giuseppe Vacca, presidente della fondazione Istituto Gramsci e Nicola Di Cagno, presidente Istituto Pugliese di Ricerche Economiche e Sociali.

Fiori di carta/ Assunta e Alessandro di Alberto Asor Rosa

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