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Nelle prossime ore l’Irlanda esprimerà il suo voto. Attraverso una consultazione referendaria che chiama alle urne tre milioni di persone, il Paese “verde” avrà il potere di incidere sul processo d’integrazione europea. Come nell’antichità bastava un pollice in su o un pollice in giù, così si attende la vita o la morte del Trattato di Lisbona.
I fautori del no temono che con l’accettazione del documento si possa diminuire l’autonomia nazionale su temi come l’aborto e l’eutanasia (argomenti a cuore della “cattolica Irlanda”),  ma anche sul sistema fiscale e sui diritti dei lavoratori.
Il Trattato di Lisbona andrebbe a sostituire la Costituzione europea che nel 2005 era già stata bocciata attraverso i referendum di Francia e Olanda. La maggior parte dei Paesi appartenenti all’Unione europea vedono l’approvazione del questo trattato, detto anche “di riforma”, come il passo democratico necessario, ad un anno dalle elezioni del nuovo Parlamento europeo.
La situazione è stata resa ancora più scivolosa dal ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, che lunedì, durante un’intervista ha sottolineato come un no al referendum rappresenterebbe “un segnale di ingratitudine da parte degli irlandesi verso l´Europa” (fonte: Velino). Kouchner ha sottolineato che, in caso di no, “non potremmo contare sugli irlandesi che hanno contato parecchio sul denaro europeo”. In effetti negli ultimi anni l’Irlanda ha beneficiato molto degli aiuti europei allo sviluppo delle sue infrastrutture e dei suoi servizi, divenendo il primo Paese europeo col tenore di vita più alto.
In caso di no i rischi che si corrono sono molteplici. Anzitutto, l’Unione europea tornerebbe al medesimo punto di stallo successivo ai referendum francese e olandese del 2005. Non si farebbero, dunque, passi avanti nella costruzione di una politica estera e di difesa comune (quest’ultima molto cara ala Francia). Infine, si teme per un clamoroso dietro front da parte della Gran Bretagna, già indecisa sull’aderire o meno al Trattato.

L'Irlanda tentenna alle urne

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