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Infiltrazione prolungata, eliminazioni e intimidazioni mirate, furti di materiale chiave, sabotaggi e reclutamenti strategici: la dottrina della deterrenza attiva caratterizza, da sempre, le operazioni di intelligence condotte da Tel Aviv. Dall’operazione Damocle (1962-1963), quando il Mossad lavorò per la neutralizzazione del programma missilistico egiziano attraverso il reclutamento dell’ex SS Otto Skorzeny per l’eliminazione degli scienziati tedeschi al servizio di Nasser, fino al costante ed accurato lavoro dietro all’approntamento dell’operazione Rising Lion (Am Kelavi)

Preparazione, infiltrazione e sabotaggio. Ecco la dottrina israeliana

Da 15 anni il Mossad preparava, tessendo le fila gradualmente ed accuratamente, il campo per poter operare e neutralizzare – o rallentare – la minaccia nucleare iraniana. Recenti documenti dell’intelligence israeliana hanno messo in luce la profondità dell’infiltrazione di Tel Aviv nei programmi nucleari e missilistici iraniani. Per anni agenti del Mossad e dell’Aman hanno operato sul terreno, mappando impianti strategici e raccogliendo informazioni che indicavano un’infrastruttura bellica e nucleare di Teheran ben più estesa rispetto ai siti principali di Fordow, Natanz e Isfahan. Queste operazioni hanno consentito a Israele di preparare, sin dal 2010, una campagna militare mirata contro le infrastrutture critiche del programma nucleare, culminata in attacchi di precisione contro impianti di arricchimento, fabbriche di centrifughe e centri di ricerca avanzata.

Secondo i documenti visti dal Times, gli uomini del Mossad hanno identificato non solo la produzione di centrifughe, ma anche interi segmenti industriali destinati alla fabbricazione di missili balistici. Da Isfahan a Teheran, passando per i siti di Nur e Mogdeh, Israele ha colpito centri di calcolo, laboratori e impianti militari sotto la supervisione della Spnd, l’organizzazione ombrello fondata dal fisico Mohsen Fakhrizadeh, eliminato nel 2020. L’azione israeliana ha incluso anche infrastrutture di supporto, come reti elettriche, sistemi di ventilazione e strutture di backup, riducendo la capacità di Teheran di ripristinare rapidamente la produzione.

L’architettura operativa di Tel Aviv

La portata delle infiltrazioni ha alimentato tensioni interne al regime iraniano. Dopo l’assassinio del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, a Teheran e la successiva ondata di arresti, il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie è precipitato in una spirale di sospetti e purghe interne. Le operazioni israeliane, condotte attraverso Humint, omicidi mirati e sabotaggi, hanno destabilizzato l’apparato di sicurezza iraniano, erodendo la fiducia tra i vertici militari e la leadership politica, come nei casi dell’eliminazione di Ismail Haniyeh a Teheran (2024) e degli scienziati nucleari iraniani tra il 2010 e il 2012, tra cui Mostafa Ahmadi Roshan o, ancora, l’eliminazione di Mohsen Fakhrizadeh, figura centrale del programma militare nucleare e la morte di Hassan Nasrallah (2024), leader di Hezbollah.

La capacità di targeting di Israele (Mossad, Shin Bet e Aman), potenziata dalla fusione tra Humint e Sigint, si è rivelata cruciale all’interno di più teatri operativi, come nel caso dell’utilizzo dei cercapersone come ordigni letali di estrema precisione o come quando, già nel 1996, il Mossad eliminò Yahya Ayyash, architetto degli attentati suicidi di Hamas, mediante un telefono cellulare imbottito di esplosivo. Confermando l’adattamento creativo di oggetti quotidiani a strumenti di attacco come marchio di fabbrica della dottrina di intelligence israeliana. Parallelamente, Israele ha sfruttato campagne di disinformazione e di attacco cibernetico per amplificare la paranoia e indebolire la coesione interna di Teheran, dallo storico malware Stuxnet, che colpì le centrifughe di Natanz, fino agli attacchi recenti contro le infrastrutture di Isfahan, Israele ha affinato operazioni ibride in grado di sembrare guasti accidentali. Questa combinazione di infiltrazione umana, eliminazioni mirate e cyber sabotage ha ampliato la profondità strategica israeliana, minando la percezione di sicurezza interna dell’Iran e delle sue cellule proxy.

L’arsenale umano del Mossad

Il quadro delle operazioni israeliane si inserisce nella dottrina della deterrenza attiva perseguita da Tel Aviv dal 2002. Con circa metà delle risorse del Mossad e dell’Aman concentrate sul dossier iraniano, Israele ha combinato l’azione autonoma con la cooperazione strategica con Washington, particolarmente intensa nei periodi di convergenza politica tra Yossi Cohen e Mike Pompeo. Queste operazioni hanno avuto effetti collaterali significativi, tra cui l’isolamento internazionale dell’Iran e la riduzione della cooperazione tecnologica con partner esterni come Russia e Cina.

All’interno delle strategie tattiche ed operative del Mossad, il reclutamento umano (Humint) rimane una risorsa fondamentale, così come le attività di crowdsourcing: lo sfruttamento dell’insoddisfazione, dal livello individuale a quello collettivo, agevola la raccolta di informazioni e l’ingaggio di agenti interni, individuandoli sia nel regime che nella popolazione civile. Funzionari collegati con i vertici, Pasdaran, guardie religiose e minoranze (baluci, arabi iraniani), fino alla popolazione femminile: ognuno pedina della profonda attività di infiltrazione israeliana.

Infiltrazione e deterrenza attiva. L’architettura operativa del Mossad da Damocle ad Am Kelavi

La dottrina della deterrenza attiva israeliana si fonda sulla combinazione di infiltrazioni prolungate, eliminazioni mirate, sabotaggi strategici e psychological e cyber warfare. Dal precedente storico dell’Operazione Damocle, fino all’operazione Rising Lion (Am Kelavi) contro l’Iran, il Mossad ha affinato strumenti ibridi capaci di neutralizzare minacce strategiche, imponendo a Teheran costi strategici crescenti e condizionando le scelte di attori esterni, dalle potenze globali alle milizie proxy

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